Mariano Rajoy (foto LaPresse)

L'arma di Rajoy

Eugenio Cau

A due settimane dalla formazione del governo il premier spagnolo già minaccia nuove elezioni.

Roma. Sono passate due settimane dalla formazione del governo spagnolo, e il premier, Mariano Rajoy del Partito popolare (Pp), si trova già nelle condizioni di dover minacciare l’utilizzo dell’arma fine-di-mondo per riuscire a far passare il più importante dei suoi provvedimenti. Rajoy è stato nominato primo ministro di un governo di minoranza dopo due elezioni e quasi undici mesi di contrattazioni penose, che hanno provocato fra le altre cose l’implosione del Partito socialista (Psoe), storica formazione della sinistra, e un’apatia generalizzata e antipatizzante tra gli elettori. Rajoy è salito al governo grazie al sostegno di Ciudadanos, formazione centrista guidata da Albert Rivera, e grazie al sofferto voto di astensione dei socialisti, e ha sempre avuto ben chiaro che se le contrattazioni per il governo erano state estenuanti, quelle per governare non sarebbero state da meno. Non si aspettava, forse, che le difficoltà sarebbero state così grandi fin da principio.

Nei prossimi mesi, il Parlamento spagnolo dovrà approvare, con una certa urgenza, la legge finanziaria per il 2017. La scrittura della legge è particolarmente difficile, perché nonostante i buoni numeri dell’economia spagnola (crescita annua del Pil sopra al 3 per cento, disoccupazione alta ma in decrescita costante e sostenuta) il deficit è troppo alto, e il governo deve prendere alcune misure di austerity per evitare una multa miliardaria dell’Unione europea. La settimana scorsa i rappresentanti del nuovo governo spagnolo, assieme ai colleghi portoghesi, si sono incontrati con gli emissari Ue per blandire la severità dell’Unione, che già nei mesi scorsi ha rimandato l’emissione della multa, e ricordare l’importanza di non dare scossoni eccessivi a due governi di comprovata fede europeista in un periodo in cui i venti populisti spirano forte su entrambe le sponde dell’Atlantico.

 

 

Ma anche così, la finanziaria non può più essere rimandata. Per fare la legge, però, serve una maggioranza che la voti, e al momento Rajoy non ne ha una. Il premier, dicono i retroscena giornalistici, ha già aperto canali di contatto con tutti i partiti, ha detto di avere già avuto “alcune conversazioni” sul tema, probabilmente con Albert Rivera, ma come è successo con il voto d’investitura, senza un appoggio per lo meno parziale dei socialisti la legge non può passare. Ma il Psoe, dopo la scottatura dell’astensione, è tutt’altro che propenso ad aiutare ancora Rajoy. Antonio Hernando, portavoce socialista in Parlamento, ha detto che il sostegno dei socialisti alla finanziaria è “praticamente impossibile”, e a sole due settimane dallo sblocco dell’impasse sul governo, si ripropone già un’impasse non dissimile: il Psoe ha in mano la possibilità di sbloccare la situazione, ma sa che aiutare Rajoy sarebbe un suicidio politico.


D’altro canto, sa che non può condannare il paese all’immobilismo. Le condizioni che sembravano superate appena due settimane fa si ripropongono tutte. E anche in questo caso, Rajoy ha un solo pungolo per sollecitare i socialisti alla responsabilità: nuove elezioni, le terze in poco più di un anno. Secondo un retroscena del Mundo, Rajoy, che pure in pubblico spergiura che il governo durerà quattro anni fino a fine mandato, ha già impostato la contrattazione in questo modo: o la finanziaria o nuove elezioni. Il pungolo – per non dire il ricatto – di Rajoy ha molta presa sui socialisti: a ogni nuovo sondaggio del Cis, il principale istituto statistico del paese, il Psoe sembra sprofondare un passo di più, e questo rende le elezioni sempre meno palatabili per la sinistra spagnola. Dopo aver certificato il sorpasso di Podemos sul Psoe, relegato a terza forza del panorama politico, la scorsa settimana il Cis ha rilevato per i socialisti un tasso di gradimento inferiore al 20 per cento, uno dei peggiori di sempre. I socialisti non possono permettersi di appoggiare Rajoy perché perderebbero ancora più terreno tra gli elettori, ma al tempo stesso non possono andare a nuove elezioni, perché peggiorerebbero ancora il loro peggior risultato di sempre, quello ottenuto all’ultima tornata elettorale.


Rajoy aveva già avvertito i socialisti di questo risultato il 29 ottobre, il giorno dell’inaugurazione del suo governo: “Questa è una responsabilità di tutti, non solo mia… se non si possono controllare le entrate e le uscite nei conti pubblici non si può governare. Lo sappiamo voi e io: non è ragionevole governare senza finanziaria e tutti dobbiamo trarre le conseguenze di questo”. La ragionevolezza è uno dei tratti principali dell’anima tecnocratica di Rajoy, che da quasi un anno si scontra con le assurdità, dal suo punto di vista, della ragion politica. Rajoy non ha avuto nemmeno due settimane di quiete dopo la battaglia, e questo non depone a favore della lunga durata del suo governo. Tutti sapevano che governare in minoranza in questa temperie politica, con il paese frammentato politicamente e con il sistema dei partiti più debole e sulla difensiva che mai, sarebbe stato difficile, ma il rischio, adesso, è che le difficoltà politiche gettino la Spagna in una impasse equivalente a quella trascorsa negli ultimi mesi. Se le minacce di Rajoy non dovessero funzionare, la soluzione estrema è quella di prorogare la finanziaria del 2016, che però non consentirebbe di raggiungere gli obiettivi sul deficit e legherebbe le mani al governo su qualsiasi altra manovra. Non lo vuole dire, ma Rajoy è già pronto a uccidere il suo stesso governo usando l’arma finale.

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  • Eugenio Cau
  • E’ nato a Bologna, si è laureato in Storia, fa parte della redazione del Foglio a Milano. Ha vissuto un periodo in Messico, dove ha deciso di fare il giornalista. E’ un ottimista tecnologico. Per il Foglio cura Silicio, una newsletter settimanale a tema tech, e il Foglio Innovazione, un inserto mensile in cui si parla di tecnologia e progresso. Ha una passione per la Cina e vorrebbe imparare il mandarino.