Da anni il Bangladesh è in balia dell'estremismo

Giulia Pompili
Negli ultimi tre anni il Bangladesh è stato colpito da una serie di omicidi e aggressioni che avevano come obiettivo scrittori, blogger, liberi pensatori, minoranze religiose e attivisti per i diritti civili. Dal febbraio del 2013 si contano almeno 39 omicidi, tutti simili tra loro. Nel corso degli anni il Foglio ha tentato di raccontarvi cosa stesse accadendo in Bangladesh, e quanto la radicalizzazione del paese - a maggioranza musulmana - stesse cambiando la geografia del sud dell'Asia.

Negli ultimi tre anni il Bangladesh è stato colpito da una serie di omicidi e aggressioni che avevano come obiettivo scrittori, blogger, liberi pensatori, minoranze religiose e attivisti per i diritti civili. Dal febbraio del 2013 si contano almeno 39 omicidi, tutti simili tra loro. Nel corso degli anni il Foglio ha tentato di raccontarvi cosa stesse accadendo in Bangladesh, e quanto la radicalizzazione del paese - a maggioranza musulmana - stesse cambiando la geografia del sud dell'Asia, attirando l'attenzione dello Stato islamico che presto ha iniziato ad approvare e sostenere i gruppi radicali presenti sul terrorio. Abbiamo raccontato la storia di Rezaul Karim Siddique, 58 anni, professore di inglese, di Nazimuddin Samad, 27 anni, studente di legge, e di tutti gli altri liberi pensatori ammazzati per aver criticato l'islam e in questa lista, ahimè, ne mancano ancora molti.

 

La situazione in Bangladesh è molto più complessa di quanto possa sembrare. In uno dei paesi più poveri dell'area asiatica, il fondamentalismo si lega stretto alla storia politica del paese. Mentre il primo ministro Sheikh Hasina, del partito di governo Awami League, continuava a negare la presenza di “soldati del Califfato” in Bangladesh, gli estremisti dell’Isis rivendicavano la maggior parte degli attacchi, specialmente quelli contro gli stranieri. Altri, invece, venivano rivendicati da al Qaida.

 

L'edizione di fine aprile di Dabiq, la rivista in lingua inglese dello Stato islamico, incitava a effettuare nuovi "attacchi sensazionali" contro le minoranze e gli stranieri in Bangladesh, paese "strategico" per l'influenza degli estremisti nell'area.

 

Ma già nel novembre del 2015 Alexandra Stark, ricercatrice di Relazioni internazionali alla Georgetown University, diceva al Foglio che "i recenti attacchi contro gli stranieri sono preoccupanti. Anche se recentemente c'è stata molta violenza in Bangladesh, era una violenza legata alle elezioni politiche e non ha mai preso di mira specificamente gli stranieri".  Il governo di Sheikh Hasina è sostenuto da Washington, ma nella storia recente del paese è accaduto spesso che l'estremismo islamico fosse di volta in volta sottovalutato, usato strumentalmente, chiamato in causa per screditare l'opposizione politica (anche quella laica).

 

L'8 giugno scorso, meno di un mese fa, in un’intervista al New York Times il capo dell’unità antiterrorismo della polizia del Bangladesh, Monirul Islam, non solo ha cercato di fare chiarezza su alcuni dei principali mandanti degli omicidi di questi ultimi anni, ma ha anche fornito particolari inquietanti sul processo di radicalizzazione in corso nel paese. Secondo Monirul Islam, i due gruppi responsabili degli attacchi sarebbero Ansar al Islam e una formazione meno conosciuta, Jama’atul Mujahedeen Bangladesh.

 

Quello che è successo ieri sera nel quartiere di Gulshan, nella zona delle ambasciate di Dacca, è di sicuro un cambio di passo nella strategia dei gruppi fondamentalisti che operano in Bangladesh. Non è la prima volta però che gli italiani - che non sono pochi, soprattutto a Dacca - vengono colpiti. Dopo l'omicidio di Cesare Tavella, nel 2015, il 18 novembre dello stesso anno Piero Parolari, 64 anni, missionario del Pontificio istituto missioni estere in Bangladesh da più di trent’anani, era stato colpito alla testa da due aggressori. Già allora avevamo tentato di raccontare come la confusione politica, unita alla capacità dello Stato islamico di ispirare e sostenere i gruppi terroristici già presenti sul territorio del Bangladesh, rischiava di esplodere in un campo di battaglia islamista nelle mani di Isis e di al Qaida.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.