David Cameron con la moglie a Downing street (foto LaPresse)

Premier leave

Paola Peduzzi
Cameron ha annunciato che si dimetterà. Tra tre mesi, in tempo per la conferenza di partito che si tiene ai primi di ottobre a Birmingham, ci sarà un nuovo leader a guidare il governo e soprattutto a guidare il negoziato della Brexit.

Quando ha detto che per gestire questa Brexit ci vuole una nuova leadership, a David Cameron sono venuti gli occhi lucidi, la voce gli si è spezzata, e le telecamere hanno inquadrato Samantha in piedi lì di fianco, con l’aria attenta di una moglie che sa dov’è il “breaking point” che abbiamo visto su tutti i muri, lo vede negli occhi di suo marito, e non vuole che sia raggiunto lì, in diretta tv, nel giorno più triste. Appena Cameron ha finito di parlare, lei gli ha preso la mano, e poi lo ha abbracciato rientrando a Downing Street, è dura, ma la vita continua, e loro che hanno seppellito insieme un figlio lo hanno sempre saputo, ancora più lo sanno oggi. Tra tre mesi, in tempo per la conferenza di partito che si tiene ai primi di ottobre a Birmingham, ci sarà un nuovo leader a guidare il governo e soprattutto a guidare il negoziato della Brexit. Cameron aveva sempre detto che non si sarebbe dimesso, ironia vuole che nella notte, quando ancora la Brexit sembrava scongiurata, molti conservatori ribelli abbiano firmato un appello, mettendo a tacere le voci di golpe che giravano da tempo: David, resta. L’unità sembrava possibile, la vendetta rimandabile. Invece la sconfitta è troppo grande per Cameron, che non si sente credibile come negoziatore con l’Europa né tantomeno come capo di un governo che si è battuto con tanta foga contro la Brexit.

 


 


 

Molti ora dicono che Cameron, in cerca di una conferma personale e di una tregua all’interno dei conservatori, abbia indetto un referendum sciagurato di cui tutta l’Europa paga le conseguenze. Il suo egoismo contro l’interesse di tutti: sembra una fotografia perfetta della percezione degli inglesi da parte del continente. Di certo per Cameron, come per tutti i leader dell’Ue, la politica domestica ha un ruolo preminente: cresceva l’Ukip, cresceva l’insofferenza tra i Tory, era necessario trovare un modo per non rischiare una crisi politica ogni volta che si parlava di Europa. Ha sottovalutato il rischio, Cameron, errore imperdonabile, ma era convinto che negoziando con l’Ue e avendo un consenso elettorale tanto grande per una volta una consultazione europea non sarebbe stata quel dramma che è sempre. Non voleva passare alla storia come il leader inglese che, dopo 43 anni di matrimonio, inizia la pratica di divorzio con l’Europa, e così Cameron ora si ritira subito, per non dover difendere una scelta rivelatasi tanto sciagurata. E davanti a tutti, prima dell’annuncio, prima della voce rotta, ha ricordato i suoi sei anni da premier, i successi economici, il matrimonio gay, l’attenzione ai più deboli, quel mix di liberismo e di “big society” che si chiama “cameronismo”, il bello di come eravamo.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi