La scrittrice sudcoreana Han Kang

Una “vegetariana” a Seul piace agli occidentali, ma fa ancora scandalo

Giulia Pompili
La vittoria di una sudcoreana al Man Booker Price. “The Vegetarian”, il secondo romanzo di Kang, è diviso in tre parti. La storia principale è quella di Yeong-hye, una donna sudcoreana di Seul descritta come “del tutto irrilevante”.

Seul, dal nostro inviato. Nella libreria Kyobo di Gwanghwamun, la più grande di Seul e una delle più famose della Corea, il romanzo di Han Kang che ha vinto l’edizione 2016 del Man Booker International Prize, “The Vegetarian”, è in bella mostra nella sua traduzione in inglese. Gwanghwamun è la zona più commerciale e turistica di Seul: nelle piccole librerie indipendenti della capitale sudcoreana la versione originale del libro non ha avuto un successo paragonabile alla versione in lingua inglese. Non è un caso se anche ieri – subito dopo l’annuncio della vittoria del prestigioso premio inglese, strappato dalle mani di Elena Ferrante che ha invaso per un anno le librerie di tutto il Regno Unito – l’attenzione dei critici fosse non tanto per l’asiatica scrittrice quarantaseienne quanto per la traduttrice, Deborah Smith, una ventottenne che studia il coreano da “soltanto sette anni” (che non sono pochi, comunque). Invece Han Kang, che nel 2015 ha rivelato di aver vergato il romanzo a mano, dopo essersi infortunata al polso causa il troppo uso della tastiera del computer, non è stata nemmeno presa in considerazione nella promozione della K-Literature, l’alternativa colta alla musica K-pop coreana che sta invadendo anche l’occidente. Infatti a Seul è perfino difficile trovare qualcuno che la conosca, Han Kang – la scopriranno domani, quando una sconosciuta sarà in apertura del Korea Herald in lingua inglese, ma più difficilmente sul Chosun nazionale. Tutti i coreani però conoscono Shin Kyung-sook (autrice di “Prenditi cura di lei”, “Io ci sarò”), che fu promossa dal governo a rappresentare la letteratura coreana nel mondo, ma quando arrivò il successo internazionale fu costretta ad ammettere il plagio di un’opera giovanile di Yukio Mishima (oltre al danno la beffa, copiare un giapponese). Infortuni.

 

“The Vegetarian”, il secondo romanzo di Kang, è diviso in tre parti. La storia principale è quella di Yeong-hye, una donna sudcoreana di Seul descritta come “del tutto irrilevante”. E’ lei a scuotere gli altri personaggi – il marito, uomo ossessionato dal lavoro d’ufficio, il cognato che vuole diventare artista, la sorella preoccupata dai problemi che le dà il negozio di cosmetici di famiglia – con la sua decisione improvvisa, totalmente arbitraria: diventare vegetariana. “Ho un sogno”, dice al marito, che intanto reagisce con violenza sessuale. In Corea del sud il vegetarianesimo e la fede vegan a cui si è votato l’occidente, semplicemente non esiste. Esiste la tradizione, esiste ancora oggi un ruolo ben preciso delle donne perfino al tavolo in cui si mangia. Per questo il romanzo di Kang non è soltanto la storia di una donna che a un certo punto decide di smettere di mangiare la carne. E’ la storia di una donna che decide di fare qualcosa di inconcepibile per una società costruita sulle regole e sulle convenzioni, dove la libertà individuale è consentita fino a quando non è sconveniente. Un paese in cui Uniqlo vende capi d’abbigliamento tutti identici e dai colori tenui, per non attirare l’attenzione, e dove il conformismo è particolarmente evidente in primavera (è la stagione del trench, ci spiegano, e quindi tutte indossiamo il trench, una giacca un po’ più corta già dimostra una fortissima personalità). Figuriamoci, dunque, una donna che improvvisamente fa sparire le proteine dal frigorifero e inizia a rifiutare la carne davanti a tutti, durante le cene ufficiali con il capo del marito, durante il pranzo con i parenti (lì farà infuriare il padre, che la manderà in ospedale per una ferita con un coltello). Il libro di Kang è piuttosto un colpo al cuore per le donne coreane di una generazione fa, che non si sono mai emancipate dai mariti e dalle tradizioni – sono quelle che nei giorni più caldi dell’estate ancora oggi preparano il Samgyetang, il pollo in brodo condito con il ginseng che va servito oltre i cento gradi, ed è una specie di tortura tradizionale ma che “fa bene allo spirito”. Ci sono due modi di leggere “The Vegetarian”. Si può fare con gli occhi indignati di un occidentale vegetariano, oppure con gli occhi delle nuove generazioni coreane, che sopportano il pollo rovente delle madri ma poi, di nascosto, si abbuffano da McDonald’s.

Di più su questi argomenti:
  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.