Leopoldo López Gil

La fame e la dissidenza. Cronache dal Venezuela sull'orlo del baratro

Maurizio Stefanini
Intervista con Leopoldo López Gil, padre del leader del partito di opposizione Voluntad Popular, Leopoldo Lopez, detenuto dal 18 febbraio del 2014

“Nessuno ha più paura in Venezuela. Il governo di Maduro è un governo debole, un governo che non ha più niente da offrire, un governo che non ha più niente da togliere. Cosa può togliere, se non si trova più neanche da mangiare?”. Così Leopoldo López Gil descrive al Foglio un Venezuela ormai prossimo a nuove svolte decisive, proprio mentre l’opposizione a Caracas presenta 1.850.000 firme raccolte in sole 48 ore per approvare il referendum abrogativo contro Maduro. Ne sarebbero bastate 195.000 in 72 ore, e c’era qualche dubbio, nel ricordo di come dopo il referendum del 2004 contro Chávez i nomi dei firmatari erano stati successivamente resi pubblici ed erano stati oggetto di rappresaglie e discriminazioni. “Ma adesso la paura è finita”. Leopoldo López Gil è il padre di Leopoldo Eduardo López Mendoza, ex sindaco di Chacao e leader del partito di opposizione Voluntad Popular, che dal 18 febbraio del 2014 è detenuto nel carcere militare di Ramo Verde e il 10 settembre 2015 è stato condannato a 13 anni, 9 mesi, 7 giorni e 12 ore. Per liberarlo l’Assemblea Nazionale ha approvato un’amnistia che però Maduro ha fatto revocare dal Tribunale Supremo di Giustizia. Anche Leopoldo López Gil è in esilio: membro del consiglio editoriale del quotidiano El Nacional, come lui tutti i dipendenti del giornale non possono tornare in Venezuela. Rischia il carcere per diffamazione perché il quotidiano riportò la notizia pubblicata dal quotidiano spagnolo Abc, secondo cui l’ex presidente dell’Assemblea Nazionale e leader chavista Diosdado Cabello è sotto indagine per narcotraffico a New York. Un’informazione pubblicata da 80 giornali di tutto il mondo. “Non solo io soffro per questa persecuzione della stampa”, ricorda. “I giornali di opposizione sono stati soffocati negando loro la carta, che è gestita da un monopolio statale. I proprietari delle tv  critiche sono stati persuasi a vendere, minacciati. Meno male che resiste la stampa online”. Per chiedere appoggio contro le persecuzioni politiche e le violazioni dei diritti umani López Gil è venuto a Roma, dove ieri ha avuto incontro in Parlamento e oggi vedrà il Papa.

 

Sui media internazionali, intanto, rimbalzano notizie sempre più allarmanti sulla situazione in Venezuela. Negozi senza più merce da vendere, la settimana lavorativa dei dipendenti pubblici ridotta a due giorni per risparmiare energia, deputati senza stipendio, saccheggi. “Il Venezuela ha la riserva di petrolio più grande del mondo, ma è di una qualità pesante che richiede enormi investimenti che il governo non ha fatto, avendo già rubato tutto il possibile. Poco prima che Chávez arrivasse al potere si facevano progetti per arrivare a 6 milioni di barili al giorno, adesso stiamo a 2 milioni e mezzo. Come negli anni Cinquanta, solo che quello di allora era un petrolio molto leggero, che poteva essere rivenduto con poca spesa. 700-800.000 barili al giorno se ne vanno per il mercato interno, e in più il governo ha fatto contratti a lungo termine per vendere alla Cina molto petrolio a prezzi fissi, e ha praticamente regalato altro petrolio a Cuba e ad altri paesi petroliferi per averne l’appoggio geopolitico. Il risultato è che non c’è più valuta per  comprare le materie prime, ma nemmeno per gli alimenti, le medicine, e non si possono neanche pagare tutti questi contrattisti che avevano iniziato a fare opere di infrastrutture – per esempio le società italiane che hanno lavorato per la metro e la ferrovia di Valencia, con quella di Maracaibo. Neanche le compagnie aeree hanno ricevuto pagamenti, e per questo oggi non abbiamo quasi più voli in Venezuela. In più ci sono 30 miliardi da versare a titolo di indennizzo per espropriazioni non pagate o mal pagate: tutte cause avanzate da Caracas in Corti internazionali, e poi perse”.

 

Un altro allarme è quello sulla violenza. “Nel 2015 gli obitori hanno contato 28.000 morti: vuol dire che un venezuelano su mille è morto ammazzato, ma è una cifra inferiore alla realtà, perché non ci sono gli scomparsi. Ho appena visto alla tv italiana una signora che chiedeva aiuto per un figlio scomparso in Venezuela due anni fa. Probabilmente è morto, ma non appare nelle statistiche. Il governo chavista ha consegnato milioni e milioni di armi a bande organizzate che ora le usano per prendersi l’orologio che gli piace, il cellulare che gli piace, o il cibo di cui hanno bisogno”.

 

Il governo venezuelano ha creato tempo fa un’impresa petrolifera parallela alla Pdvsa, quella statale, affidata ai militari, di cui poi non si è saputo molto: “Si tratta di un’impresa di servizi. Non sta ancora funzionando, ma quel che è chiaro è che il governo mantiene i militari contenti dando loro alcuni posti. Anche il direttore della prigione dove è recluso mio figlio due settimane fa è stato nominato direttore dell’impresa siderurgica. Credo che la sua unica competenza in ferro e acciaio derivi dal fatto che è esperto in sbarre e catene”.  Ma come fa Maduro a governare con un parlamento contrario in quelle proporzioni? “Domanda che presuppone una mentalità democratica. Che non è quella di Maduro. Esiste una parola per definire il suo stile di governo: tirannia.  Quando gli hanno dato i risultati per cui l’opposizione era largamente maggioritaria all’Assemblea Nazionale ha detto che avrebbe creato un congresso popolare, parallelo, che veramente rappresentasse il popolo. Come se chi avesse votato non fosse il popolo”. Sembra però che il modello venezuelano abbia molti estimatori. Ad esempio, Podemos. “Sì. Una disgrazia caduta sulla Spagna che è stata mandata apposta dal Venezuela. Hanno ricevuto i soldi di Chávez, e negano di averli ricevuti”.

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