Perché un terzo candidato anti Trump aggrava le patologie della destra

Il Wall Street Journal s’arrende al male minore: l’ascesa di un anti Trump danneggerebbe il movimento conservatore più dello stesso Trump.

New York. I conservatori del Wall Street Journal non hanno mai esibito simpatie per Donald Trump, che hanno accusato di essere politicamente lunare e perfino “pessimo in matematica” quando riproponeva in modo truffaldino il numero di preferenze conquistate alle primarie rispetto a quelle di Hillary Clinton. In questi mesi il Journal ha amplificato le sirene del movimento “Never Trump” e non ha affatto disdegnato l’idea di un terzo candidato per arginare la marea di Trump. Le congiure di palazzo per disarcionare il disprezzato  frontrunner non dispiacevano all’organo del conservatorismo d’establishment. Ieri, però, il quotidiano ha fatto un significativo passo indietro, smarcandosi dalle posizioni di chi cerca disperatamente di tirare fuori un terzo uomo dal cilindro per succhiare via voti dal bacino di Trump a novembre, nella speranza che nessuno riceva la maggioranza assoluta dei voti. In quel caso, la responsabilità della selezione del presidente passa alla Camera dei deputati, la quale, si presume, in un caso del genere incoronerebbe il candidato alternativo a Trump.

 

Non così in fretta, dice il Journal, che affettando una rassegnata logica del male minore osserva che l’ascesa di un anti Trump danneggerebbe il movimento conservatore più dello stesso Trump. L’idea di un terzo partito “è molto invitante in questa tornata, ma è molto difficile vedere in quale modo questa manovra otterrà qualcosa di più dell’elezione di Hillary Clinton mentre certamente oscurerà il messaggio che viene da una sconfitta di Trump”. Nel complicato passaggio dai princìpi ai calcoli elettorali, il quotidiano nota che l’effetto immediato di un anti Trump nella corsa sarebbe quello di dare la vittoria agli avversari, cosa che è successa in tutte le elezioni in cui un terzo candidato si è affacciato nella corsa. Il partito, poi, non ha bisogno di ulteriori divisioni: “L’ultima cosa che serve è offrire il pretesto a Trump e ai suoi alleati per dare la colpa della sconfitta a una ‘pugnalata alla schiena’ di altri repubblicani”. Meglio lasciare che Trump si prenda per intero la colpa della sua sconfitta.

 

Inoltre, il rischio è che una spaccatura metta la Camera dei deputati nelle mani dei democratici, faccenda estremamente rischiosa in un frangente in cui il Senato ha buone possibilità di ritornare a sinistra e la Corte suprema orfana di Antonin Scalia è a un passo dalla maggioranza liberal. Si tratta di danni strutturali e di lungo periodo, insopportabili per un partito già penalizzato a sufficienza dai movimenti demografici. “Alcuni attivisti del terzo partito sono felici di correre il rischio di una vittoria di Hillary se questo garantisce una sconfitta di Trump. Ma questa motivazione non s’accorda bene con i milioni di repubblicani che hanno votato per Trump”, scrive il Journal, sottolineando il problema della legittimità politica. Anche per gli avversari di Trump l’ascesa, a questo punto ardita, di un’alternativa rischia di essere un palliativo che illude, finendo per aggravare la malattia che intende curare. Il padrone del Journal, Rupert Murdoch, aveva previsto e forse ispirato questa metamorfosi già due mesi fa: “Se diventa il candidato inevitabile, sarebbe folle se il partito non si unisse”.

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