Chi è Duterte, il Trump delle Filippine che attacca Bergoglio

Maurizio Stefanini
Settantuno anni, per la quarta volta sindaco di Davao City, quarta città delle Filippine e prima dell’isola di Mindanao, candidato in testa ai sondaggi alle presidenziali del prossimo 9 maggio, Rodrigo "Rody" Roa Duterte detto "Digong" ha notoriamente qualche problema con la chiesa cattolica.

Settantuno anni, per la quarta volta sindaco di Davao City, quarta città delle Filippine e prima dell’isola di Mindanao, candidato in testa ai sondaggi alle presidenziali del prossimo 9 maggio, Rodrigo "Rody" Roa Duterte detto "Digong" ha notoriamente qualche problema con la chiesa cattolica. Ha detto che Papa Francesco è un “figlio di puttana” per via degli ingorghi stradali provocati dalla sua ultima visita nelle Filippine e ha denunciato di essere stato abusato sessualmente da un religioso quando era studente, ma senza voler fare il nome del violatore. Poi ha chiesto scusa e ha promesso che avrebbe fatto un versamento alla Caritas ogni volta che fosse stato sorpreso a bestemmiare in pubblico, cosa che gli accade abbastanza spesso. Duterte  deve la sua fama anche per la sua abilità nel mantenere l’ordine pubblico, costi quel che costi.

 

Lo chiamano “il Punitore” e una volta il titolare di un ristorante che non riusciva a far rispettare il divieto di fumo lo chiamò personalmente, per far rispettare la legge. Lui annullò i suoi impegni, accorse subito e fece mangiare al turista la sigaretta incriminata.  Non ha falsi scrupoli a spiegare come riesce a mantenere la sua città ai livelli di crimine più bassi di tutto il paese. “Uso gli squadroni della morte”, dice candidamente. Introdurre questi sgherri in tutto l’arcipelago è in effetti la sua proposta programmatica più qualificante: “100.000 morti in sei mesi, e il problema della delinquenza sarà risolto”, ha dichiarato. E ancora: “Le pompe funebri saranno piene: fornirò io i cadaveri. Quando sarò presidente darò ordine alla polizia di cercare quella gente e ammazzare tutti”.  Candidato per il Partito democratico filippino – Potere del Popolo che fu fondato per combattere il regime di Marcos, è nondimeno un nostalgico del defunto dittatore.

 

Il Washington Post e il Los Angeles Times lo hanno paragonato a Trump, dopo l’ultima gaffe: una chiacchierata con un supporter finita su YouTube, in cui parlava di un oscuro episodio avvenuto nel carcere di Davao nell’agosto 1989, durante il suo primo mandato da sindaco. Era stato un gruppo di 16 carcerati a prendere in ostaggio una missione di 15 pentecostali e a tenerli prigionieri per due giorni, prima di un blitz in cui morirono tutti i carcerati e sei dei cinque ostaggi. Tra questi anche una missionaria laica australiana  36enne di nome Jacqueline Hamill, uccisa dopo essere stata violentata. “Era tanto bella! Il sindaco avrebbe voluto essere il primo!”. Dopo lo scandalo internazionale che ne era scaturito Duterte ha spiegato che la frase era stata registrata fuori contesto e che lui stava solo raccontando i fatti di cui era stato testimone. “I veri uomini parlano così”, ha detto. Ha però sdegnosamente respinto il paragone con Trump: “Lui è un bigotto, io no!”, ha detto.

 

Duterte, a sua volta figlio di un politico che fu governatore e sindaco e appartenente a una famiglia che ha dato alle Filippine altri noti politici, non è però l’unico candidato che può suscitare qualche perplessità. Gregorio “Gringo” Honasan è un colonnello delle Forze speciali che dopo aver combattuto contro i guerriglieri comunisti e islamici ed essere stato uno dei protagonisti dell’insurrezione contro Marcos, aveva poi tentato anche vari golpe contro Corazon Aquino, prima di essere amnistiato e di darsi alla carriera politica.