Il presidente americano Barack Obama (foto LaPresse)

Obama in tour per contenere i danni

Daniele Raineri
Ultimo giro a Riad, Londra e Berlino per ricucire con gli alleati. I sauditi sono i più arrabbiati, gli inglesi i più offesi e i tedeschi i più delusi per la politica americana.

Roma. Comincia oggi per il presidente americano Barack Obama quello che il sito Politico ha definito il “damage-control tour”, un giro di visite in tre paesi alleati per contenere il danno inflitto alle relazioni diplomatiche. La prima tappa è la più difficile, l’Arabia Saudita che si sente tradita nel confronto con l’Iran, seguiranno Gran Bretagna e Germania. Il danno inflitto da Obama è culminato lo scorso mese in un’intervista in tono molto difensivo pubblicata sul mensile Atlantic, in cui il presidente accusa gli alleati di essere “free riders”, gente che sfrutta la potenza dell’America per ottenere vantaggi e che in cambio offre poco. Il New York Times scrive che Obama arriva in un’Arabia Saudita già persa dietro ai suoi problemi più che gravi. Il prezzo basso del petrolio e la disoccupazione giovanile introducono nel regno la paura dell’impoverimento, che un tempo era un concetto impensabile. L’arcinemico, l’Iran sciita e persiano, vince la guerra per procura in Yemen, va bene in Siria, gode di un’alleanza trionfale con la Russia e anche di un discreto patto di non belligeranza con l’America, che non risponde alle proteste saudite.

 

A Riad oggi. Le cose erano cominciate a guastarsi in grande stile a inizio 2011, durante la rivolta di piazza Tahrir contro il rais egiziano Hosni Mubarak, quando si dice che re Abdullah ebbe un malore al telefono con Obama non appena comprese che il presidente all’altro capo della linea non avrebbe speso una parola a favore del presidente egiziano, grande protetto di Riad. La rivelazione fu improvvisa e tremenda: la Casa Bianca avrebbe fatto lo stesso con Abdullah, se fosse arrivato il momento. Con il successore re Salman va pure peggio e Obama lascia trasparire nelle interviste di essere stanco del ruolo impostogli dalla politica estera americana, di alleato sempre e comunque dei sauditi. Ad aggravare i sentimenti sono arrivati il patto atomico con l’Iran, che offre al governo di Teheran una insperata occasione di riscatto e di business internazionali e la frustrazione enorme sul dossier Siria – dove Obama rifiuta di dare ai ribelli anti Assad una spinta militare decisiva, per esempio sotto forma di missili antiaerei, e si è invece infilato in una laboriosa campagna contro lo Stato islamico. Il progressivo sparire dell’America dall’orizzonte mediorientale spinge i sauditi in prima linea, dove tocca prendere l’iniziativa e farsi rispettare in autonomia. Finora i risultati sono magri. Domenica in Qatar c’è stato un incontro atteso per mediare tra paesi estrattori sulla produzione di greggio e far alzare il prezzo, ma l’accordo è saltato e il prezzo è sceso ancora di più. A questo livello, gli incassi degli stati produttori dell’area sono troppo bassi e si va verso la destabilizzazione. Il clima, durante la visita americana, non sarà festoso.  

 

A Londra Obama arriverà giovedì sera e la fiammata di reazioni scatenata dall’intervista all’Atlantic non è ancora scesa. Il presidente americano ha fatto capire non velatamente che: David Cameron spende troppo poco per il budget militare della Nato e non raggiunge la quota che secondo gli accordi dovrebbe essere pari ad almeno il due per cento del pil; è stato troppo distratto dopo la campagna di guerra del 2011 e ha lasciato che la situazione in Libia degenerasse e ora tocca porre rimedio; ha fallito la prova in Parlamento al momento supremo delle operazioni militari contro Bashar el Assad in Siria nell’agosto 2013 e questo fu uno dei fattori chiave che fece abortire l’intervento americano. Dopo l’intervista fonti dell’Amministrazione americana hanno subito provato a lenire le botte e i lividi parlando come al solito di relazione speciale tra le due sponde dell’Atlantico, ma il danno ormai era già fatto e la stampa inglese si era gettata con gusto sulla faccenda, con contorno di titoli splatter. Anche nel caso di Londra, come in quello di Riad, l’onda lunga delle rivolte arabe ha portato lo sconquasso maggiore nelle relazioni con Washington.

La terza tappa è a Berlino, che nell’estate del 2008 accolse in trionfo il senatore Obama impegnato in campagna elettorale, ma questa volta sarà più fredda. Tra il presidente americano e il cancelliere Angela Merkel c’è un’intesa ottima, ma con i tedeschi, scrive di nuovo Politico, le cose non vanno per niente bene. Secondo un sondaggio Pew, tra le maggiori nazioni europee la Germania ha la considerazione più negativa per la politica estera americana, appena appena migliore di quella riservata alla Cina – e non è granché come consolazione. I tedeschi, chiosa l’autore del pezzo Michael Crowley, sembrano un popolo deluso dal presidente americano.

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  • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)