Le immagini di una delle manifestazioni contro la petizione sulla laicità dello stato, il 25 marzo scorso a Dacca (foto LaPresse)

L'islam di stato non si discute

Giulia Pompili

La Corte suprema del Bangladesh ha rigettato una petizione di ventotto anni fa che domandava di togliere dalla Costituzione l'islam come religione di stato.

La Corte suprema del Bangladesh, lunedì scorso, ha rigettato la petizione che domandava di riformare l'emendamento della Costituzione che indica l'islam come religione di stato. Ci sono voluti soltanto due minuti, scrive il New York Times, perché i tre giudici dell'Alta corte rigettassero una petizione in attesa di discussione da ventotto anni. Questo non è uno stato laico, e i firmatari laici della petizione non hanno il diritto di presentarla: così hanno deciso i giudici Naima Haider, Quazi Reza-Ul Hoque e Ashraful Kamal.

 

In Bangladesh il 90 per cento della popolazione è mussulmana, e il più grande partito islamico del Bangladesh, Jamaat-e-Islami, lunedì scorso aveva indetto uno sciopero nazionale per protestare contro la petizione in "discussione" alla Corte suprema. La Costituzione bengalese scritta nel 1971, subito dopo l'indipendenza dal Pakistan, non contemplava una religione di stato. Il 7 giugno del 1988 il governo del Bangladesh, presieduto da Hussain Muhammad Ershad, una figura controversa nella storia del sud est asiatico, approvò l'Ottavo emendamento che modificò la Carta introducendo, tra le altre cose, un articolo: "La religione di stato della Repubblica è l'Islam ma le altre religioni possono essere praticate in pace e armonia nella Repubblica".

 

 

Quindici personalità del Bangladesh firmarono nello stesso periodo una petizione contro l'Ottavo emendamento, petizione che non fu mai presa in considerazione fino all'agosto del 2015, quando un avvocato della Corte suprema, Nath Goswami, rilanciò la discussione sul secolarismo bengalese. Dieci dei quindici firmatari della petizione dell'88 sono morti.

 

La minoranza cristiana negli ultimi anni ha denunciato numerosi episodi di violenze e discriminazioni. Il problema della sicurezza delle minoranze religiose nel paese continua a essere sottovalutato dalle autorità, e nel novembre scorso un sacerdote italiano è stato attaccato da tre uomini armati [leggi Perché il Bangladesh è diventato un campo di battaglia islamista]. Adriano Sofri è stato in Bangladesh proprio nel novembre del 2015 e ha raccontato su queste colonne il blocco dei social network disposto dal governo di Dacca e su Repubblica, in un lungo reportage, il lavoro dell'Unicef.

 

Da tempo lo Stato islamico tenta di diffondere la propria ideologia nel sud est asiatico, anche se il primo ministro bengalese Hasina Wazed ha più volte negato l'esistenza di cellule dell'Is nel paese [leggi da Foreign Policy ISIS in Bangladesh: There’s still time to stop it, but only if action is taken].

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.