Controlli di sicurezza all'aeroporto di Fiumicino

In tempo di attentati, tra sicurezza e privacy, prevalga l'efficienza delle norme

Lucio Scudiero
Dopo gli attacchi di Bruxelles, il Consiglio e il Parlamento dell'Ue si riuniscono per trovare contromisure al terrorismo. Al vaglio anche la direttiva sul controllo dei nominativi sui voli da e per l'Europa e su cui ancora non è stato trovato un accordo. Quanto è difficile ai 28 stati membri dare una sola voce alla guerra al terrore. 

Oggi a Bruxelles si riunisce in via straordinaria il Consiglio dei ministri dell’Interno dell’Unione, per discutere la risposta agli attacchi terroristici che martedì hanno sconvolto la capitale europea.

 

Tra i tanti, uno dei dossier aperti sul tavolo dei responsabili della sicurezza degli stati membri dell’Unione è quello della direttiva PNR (Passenger Name Records) sul cui testo le due camere del legislatore europeo, il Consiglio e il Parlamento, sembravano aver trovato un accordo politico a dicembre del 2015. Ma lo scorso 7 marzo il Parlamento europeo ha rigettato la proposta, avanzata da Popolari e Conservatori, di calendarizzare l’approvazione della direttiva per la prima sessione plenaria disponibile. A opporsi i liberali dell’Alde, i Verdi e i socialisti, a eccezione dei deputati francesi, che hanno invece votato a favore perché l’iniziativa di dicembre, che aveva sbloccato uno stallo sulla direttiva che si protraeva dal 2011, era stata fortemente sostenuta dal presidente francese Hollande, dopo gli attentati di Parigi.

 

La direttiva, se approvata, introdurrebbe l’obbligo per le compagnie aeree di conservare e comunicare agli stati membri una serie di informazioni sui voli da e per l’Europa, inclusi quelli domestici, quali il nome e cognome dei passeggeri, il numero di volo, lo strumento di pagamento utilizzato, la tratta, il bagaglio trasportato. Queste informazioni sarebbero processabili per finalità di prevenzione, rilevamento, indagine e repressione di minacce terroristiche e reati gravi, quali il traffico di essere umani, l’associazione per delinquere, il cybercrime, pornografia minorile, traffico di armi.

 

La normativa condurrebbe alla raccolta massiva di informazioni, ogni anno, su circa 300 milioni di passeggeri europei.
Il tema solleva da anni le preoccupazioni di quanti ritengono la misura un’ingiustificata e sproporzionata invasione della privacy degli europei; per questa ragione il Parlamento europeo ne ha condizionato l’inserimento nei lavori d’aula all’approvazione, da parte del Consiglio, dell’altro dossier caldo in campo privacy, il regolamento europeo per la protezione dei dati personali.
Non è scontato, comunque, che anche una volta approvata, la direttiva resista a un eventuale scrutinio della Corte di giustizia europea, la quale nel 2014 ha abrogato uno strumento giuridico affine, la direttiva cosiddetta data retention, che imponeva alle telcos obblighi di conservazione dei dati di traffico telefonico e telematico per finalità di sicurezza e prevenzione di reati, giudicandola una violazione troppo massiva e sproporzionata dei canoni costituzionali europei che presidiano la riservatezza degli individui.

 

È difficile, soprattutto in tempi di terrorismo stragista come questi, trovare un punto di equilibrio accettabile tra le istanze di sicurezza e quelle di libertà, ma si potrebbe convenire almeno su un principio minimo, e che cioè se proprio si deve restringere la libertà di qualche centinaio di milioni di individui, che almeno tale restrizioni sia efficiente.

 

Serve davvero tracciare i movimenti aerei di tutti, a prescindere da una concreta o anche solo potenziale connessione con ipotesi di reato, quando alle autorità di polizia di diversi stati membri è capitato di non notare il passaggio transfrontaliero di un criminale come Abdelhamid Abaaoud, tra le presunte menti degli attentati dello scorso novembre a Parigi, poi ucciso durante il raid a Saint Denis? Su Abaaoud pendeva già un mandato d’arresto internazionale quando, nei mesi antecedenti la strage del Bataclan, era riuscito a muoversi tra Parigi e il Regno Unito, probabilmente per incontrare cellule dell’Isis lì stabilite.

 

Per tacere sul fatto che, in ogni caso, la direttiva PNR non sarebbe effettiva prima dei due anni lasciati agli stati membri per il suo recepimento nei rispettivi ordinamenti interni.

 

Una legge in più, quando si fa fatica ad applicare quelle già vigenti, non pare necessariamente un buon servizio reso all’obiettivo dichiarato di chi la propone. Corruptissima re publica plurimae leges è una lezione di Tacito ancora utile.