Il ministro della Giustizia Andrea Orlando (foto LaPresse)

Intervista col Guardasigilli

Sostiene Orlando: “Ora ci vuole una procura europea antiterrorismo”

Redazione
“In Italia le leggi ci sono, in Europa non sempre. C’è poca integrazione e molta diffidenza”, avverte il ministro. I pm, le carceri e i jihadisti. “Le reti del terrorismo islamista sono sovranazionali, mentre in Europa si agisce ognuno per sé”.

Roma. In Italia le leggi antiterrorismo ci sono, “abbiamo istituito la procura nazionale”, dice al Foglio il ministro della Giustizia Andrea Orlando, “e da noi oggi vengono punite condotte che in altri paesi non sono punite”. E spiega: “Il decreto anti terrorismo approvato dal governo permette di intervenire anche quando le condotte non sono ancora esplicitamente terroristiche. Puniamo le forme di incitamento, di propaganda, siamo in grado di intervenire anche soltanto quando un soggetto ponga in essere comportamenti che anticipano l’azione terroristica”. Ma su un punto il ministro esprime preoccupazione: “Chi aggredisce le nostre città, nella sua testa, sembra avere un’idea di Europa più forte di quella che riusciamo a esprimere noi. In Europa non riusciamo a dotarci di norme comuni ed efficaci. E la differenziazione normativa tra paesi complica le indagini, complica la cooperazione giudiziaria e dà spazi imprevedibili al terrorismo. Lo dico con chiarezza: non servono leggi più dure, servono leggi più simili tra paesi, serve lo scambio di informazioni, e serve una procura europea antiterrorismo”.

 

In Francia, dopo gli attentati di Parigi, il governo ha introdotto una legislazione speciale, che in taluni casi sospende l’habeas corpus e aumenta il potere discrezionale della polizia nei fermi e negli arresti. “E’ stato un intervento più simbolico, che pratico”, dice Orlando. “Non ci vuole esemplarità, ma funzionalità. Devo confessare che capisco poco come possa convivere da un lato la sospensione dei diritti fondamentali, e dunque un intervento durissimo di carattere legislativo, e dall’altro una difficoltà a spingere verso una più ambiziosa normativa comune antiterrorismo. In questi mesi abbiamo visto, attraverso le vicende di Parigi, che informazioni nella disponibilità di paesi alleati non erano state messe in comune. Abbiamo visto paesi apparentemente intransigenti che reclamano durezza nelle sanzioni, paesi come l’Ungheria che però all’atto pratico hanno dimostrato paurose debolezze. Il terrorista del Bataclan, Salah, era stato fermato tra Austria e Ungheria e non ne era stata riconosciuta la pericolosità. Noi in Consiglio europeo abbiamo proposto più integrazione, ma ci sono resistenze”. Da parte di chi? “C’è una resistenza diffusa, in particolare da parte dei paesi dell’Europa orientale e settentrionale, ma anche di alcuni stati fondatori. Ognuno pensa di poter fare meglio da solo. L’idea di condividere una normativa e delegare l’iniziativa a un organismo sovranazionale spaventa molto. Nel contrasto al terrorismo non ci sono sostanziali differenze rispetto agli altri campi d’azione dell’Unione”.

 

E allora Orlando spiega che “i paesi europei agiscono ognuno per sé, mentre le reti terroristiche sono sovranazionali. Paradossale, no? Stiamo discutendo di una procura europea che abbia finalità solo di contrasto alle frodi contro l’Ue. Il trattato di Lisbona prevede che la procura possa avere anche compiti di lotta alla criminalità organizzata e al terrorismo. Ecco. Malgrado la formula con la quale questa procura sta prendendo forma sia, per così dire, ‘mignon’, c’è comunque una fortissima ostilità alla sua costituzione. Di più: per contrasti e resistenze, la nuova procura si sta già delineando come una struttura farraginosissima nel suo funzionamento, composta da procuratori di tutti i paesi e con un capo nominato dalla Commissione. Una struttura che potrebbe complicare la vita ai singoli paesi e bruciare qualsiasi prospettiva di un ufficio con compiti e responsabilità più ampie. Noi abbiamo proposto, con la Francia, di rafforzare la normativa contro il traffico di beni culturali che è fonte di finanziamento per il terrorismo, e abbiamo proposto anche di punire i viaggi con finalità terroristiche all’interno dell’Unione europea e di bloccare i siti internet che facciano propaganda terroristica. Tutti reati che in Italia sono già puniti, ma non in tutta Europa”. Effetti? “Ancora nessuno. C’è ostilità nei confronti delle misure sovranazionali, malgrado queste posizioni abbiano la simpatia di Francia, Belgio e Spagna”.

 

In Francia le carceri sono luoghi di proselitismo islamista, e in Italia? “Il carcere è un luogo dove la propaganda d’odio trova amplissima audience. Circa diecimila detenuti provengono da paesi di fede musulmana”, un quinto della popolazione carceraria. “Il rischio esiste. Noi garantiamo l’acceso al culto nelle carceri. Si è dimostrato che dove questa possibilità è negata c’è più probabilità di radicalizzazione. Ma controlliamo, e vigiliamo sull’attività di culto. Costantemente”. “C’è da migliorare la dimensione delle carceri. Abbiamo bisogno di più mediatori culturali. La polizia penitenziaria non è del tutto in grado di capire i fenomeni che si determinano nelle comunità straniere. Ci vogliono più specializzazioni. Siamo di fronte a un fenomeno nuovo”. In Italia ci sono detenuti per terrorismo strettamente inteso, oltre a fiancheggiatori, propagandisti… “I terroristi sappiamo come trattarli. Per i fiancheggiatori il problema è come fargli scontare la pena. Vanno tenuti in strutture in cui si rischia facciano preoselitismo? Vanno isolati? Esiste la rieducazione? E’ un tema delicato, su cui si stanno interrogando tutti in Europa”. Ecco, ma le procure italiane sono attrezzate di fronte alla minaccia? “La magistratura italiana, come la polizia, è tra le più preparate. E si è già occupata di terrorismo internazionale negli anni Novanta. Avere una procura nazionale che si occupa di mafia e terrorismo aiuta a prevenire i possibili intrecci”.