Antonin Scalia (foto LaPresse)

I calcoli di Obama e del Gop nella guerra politica per rimpiazzare Scalia

Il presidente americano non deciderà questa settimana. Serve riflessione per una nomina che è anche più importante dell’elezione del presidente a novembre. Confronto iperbolico, ma nemmeno troppo.

New York. Barack Obama non sceglierà questa settimana il giudice della Corte suprema da nominare al posto di Antonin Scalia, morto sabato scorso. Servono calcolo e riflessione per una nomina che è anche più importante dell’elezione del presidente a novembre. Confronto iperbolico, ma nemmeno troppo.

 

Nell’ultimo mezzo secolo i nove giudici hanno deciso alcune delle questioni fondamentali della società, dall’aborto alla famiglia fino ai finanziamenti elettorali. Ora in coda ci sono casi importanti su libertà religiosa, politiche ambientali, possesso di armi da fuoco e affirmative action. I giudici hanno aumentato il loro coefficiente politico allargando progressivamente il raggio dell’azione, debordando nell’agone delle idee quando erano chiamati a limitarsi all’interpretazione della Costituzione. Con l’ossessione per il testo “morto, morto, morto”, Scalia ha tentato di opporsi alla trasformazione della Corte in una fucina di nuovi diritti, tradimento della vocazione dimessa di un potere fatto per dirimere, non per deliberare.

 

Per Alexander Hamilton era “il più debole dei tre poteri”, la sua subordinazione alla politica sarebbe stato un male mortale per la democrazia, ma da decenni ormai i giudici vengono classificati secondo la loro affiliazione ideologica. La monumentale gazzarra politica che si è scatenata in queste ore dimostra che l’anti attivismo di Scalia non era una sua idiosincrasia.

 

I repubblicani al Senato fanno quadrato e il loro leader, Mitch McConnell, sta facendo calcoli complessi dopo che a caldo ha invitato Obama a lasciare al prossimo presidente la scelta, suggerimento condiviso da Ted Cruz, Jed Bush, Marco Rubio e Donald Trump, ma rispedito ai mittenti dalla Casa Bianca. I repubblicani hanno i numeri al Senato per bloccare la nomina di Obama, ma ci sono anche dei rischi: bocciare un candidato “moderato” li esporrebbe all’accusa di faziosità, e potrebbe avere effetti negativi sulle elezioni. Alzare gli scudi contro Sri Srinivasan o Jane Kelly, giuristi che sono certamente nella lista di Obama e sono stati confermati nelle loro rispettive posizioni con un voto unanime del Senato, scoprirebbe la natura squisitamente politica della disputa.

 

A sinistra, invece, sono diventati tutti originalisti all’improvviso. Obama parla del suo “dovere costituzionale” di nominare un rimpiazzo e del dovere del Senato di metterlo ai voti.

 

La senatrice Elizabeth Warren dice che l’amore per la Costituzione di cui parlano i repubblicani è solo “empty talk”, sono parole vuote, ma non ha ricordato quando, nel 1987, una “solida falange” democratica si è opposta alla nomina del giudice Robert Bork. A raccogliere in un libello accuse fasulle e infamanti contro l’originalista Bork era stato un senatore che oggi è vicepresidente. Il “Biden Report” conteneva gli spunti che hanno permesso al senatore Ted Kennedy di fare il famoso discorso che ha affossato la prima scelta di Reagan, quello in cui descriveva l’America di Bork come un paese in cui “le donne sono costrette a fare aborti nel sottoscala”, la polizia può “sfondare le porte di chiunque nel cuore della notte”, scrittori e artisti vengono “censurati”, le scuole “non possono insegnare l’evoluzionismo”. Alla fine è stato nominato Anthony Kennedy, che poi nei momenti cruciali si è schierato, come direbbe Obama, dal “lato giusto della storia”, dove giusto e liberal sono sinonimi.

 

[**Video_box_2**]Il dilemma del presidente è se scegliere un giudice di specchiata affiliazione liberal, senza infingimenti, per chiudere il mandato fra gli applausi del popolo liberal e rimanere nella storia come il presidente che ha definitivamente cambiato la società americana; in alternativa, potrebbe scegliere un nome che i repubblicani non potrebbero rifiutare, se non pagando un prezzo politico altissimo. Srinivasan corrisponde all’identikit. Giudice della Corte d’appello di origini indiane, ha lavorato nell’ufficio del Solicitor General sotto l’Amministrazione Bush, cosa che ha fatto storcere il naso a sinistra quando Obama lo ha promosso in una posizione che può essere l’anticamera della Corte suprema.

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