Foto LaPresse

Cosa fare a Tel Aviv quando sparano

Annalena Benini
A pochi metri da Dizengoff, tutta la vita che c’è qui e noi. “Fuck” – di Annalena Benini

Tel Aviv. In un secondo è cambiato tutto, anche il colore del cielo. Camminavamo da turisti per Dizengoff street, a Tel Aviv, in mezzo al sole, al vento freddo e a tantissime persone, e come gli altri eravamo tranquilli, allegri perché aveva smesso di piovere: in questo anno appena iniziato, e salutato ridendo la notte prima, entravamo e uscivamo dalle librerie, dai negozi di vestiti per bambini, la mia amica beveva una spremuta di melograno, desideravamo una collana con un ciondolo a forma di colibrì, la proprietaria del negozio diceva che essendo il primo giorno del 2016 ci avrebbe fatto un grosso sconto, per augurarci tutto il meglio “e se comprate due colibrì, uno sconto più forte”. Di lì a poco avrebbe chiuso, perché il venerdì pomeriggio, al tramonto, inizia lo Shabbat, e qualche bar cominciava a impilare sedie. Ma io ero lì soprattutto per denunciare il furto del mio portafoglio: Dizengoff è una strada molto famosa ma noi stavamo andando alla stazione di polizia, al numero 221 (a Capodanno, festeggiando di fronte alla Grande Sinagoga, ho perso di vista la mia borsa troppo a lungo, in mezzo a troppa gente, e adesso zero soldi per comprare quel ciondolo a Dizengoff e molti doveri burocratici per rifare i documenti). Ai miei amici dicevo: mi dispiace farvi perdere tempo, potevamo  andare a Jaffa a vedere il porto e assaggiare le arance, ma loro erano contenti di camminare in quella strada piena di giovinezza, bellezza e bar con i tavolini all’aperto: al numero 130, il locale dell’attentato, non siamo entrati soltanto per caso, per fretta, perché a ogni metro c’era un’altra bella vetrina, un negozio dentro cui gironzolare prima che chiudesse, un palazzo da guardare, un quadro che non potevamo permetterci, una ragazza bellissima vestita troppo leggera per il vento che arriva dal mare, noi imbacuccati nelle sciarpe e loro con i cappotti aperti, le gonne senza calze. Alla polizia mi hanno detto di aspettare, i portafogli rubati a Capodanno non sono una priorità, ci siamo seduti lì, io che pensavo a quanto ero stata scema e distratta, i miei amici che dicevano quanta vita qui, quanto è bella questa città, poi in un secondo è cambiato tutto.

 

Abbiamo sentito e visto due poliziotti urlare “Dizengoff”, lo stesso che aveva parlato con me in inglese ora dava ordini in israeliano, li abbiamo visti armarsi, infilarsi i giubbotti antiproiettile, correre fuori, e altri poliziotti arrivavano di corsa insieme da altre stanze, uomini e donne uno dietro l’altro salivano sulle macchine, sulle moto, con le facce tese, non sconvolte (una ragazza in divisa ha detto “fuck”, fra i denti, ed è corsa a piedi verso il posto degli spari). Noi li guardavamo, attoniti, dal vetro, loro non guardavano noi. Abbiamo visto contemporaneamente le auto e le ambulanze arrivare con le sirene spiegate e le persone sui marciapiedi continuare a camminare con i caffè in mano, tenere i cani al guinzaglio, passare in bicicletta, parlare al telefono. Un poliziotto è venuto da me a scusarsi: “C’è da aspettare per la denuncia”. Ma che cosa succede? “Spari, urla, panico, forse ci sono dei feriti, voi tre rimanete qui, non uscite”. Noi tre non ci siamo mossi, abbiamo cercato sui telefoni, trovato in pochi secondi notizia dell’attentato. Un morto. Un morto?, ho chiesto a una poliziotta bionda. Temo due, ha risposto lei, ed è corsa di nuovo fuori. Abbiamo riconosciuto il locale dalle foto su internet, a due isolati da lì, dove eravamo passati a piedi al massimo dieci minuti prima che un uomo con un kalashnikov sparasse per uccidere, dove molte persone stavano chiacchierando, bevendo caffè, mangiando falafel il primo giorno del nuovo anno, con le facce e le parole al vento, i buoni propositi, il futuro. Adesso, al posto della musica, il rumore degli elicotteri. Anche al posto del sole, un cielo gonfio. Noi tre non abbiamo visto sangue, abbiamo visto solo la vita entusiasmante che c’era, e che era di tutti, colpita a tradimento, e la risposta immediata di uomini e donne, la tensione muta e rabbiosa, dopo, degli altri passanti, che obbedivano all’ordine di non rimanere per strada e cercavano taxi con la luce accesa. Dizengoff era vuota e come morta, quando siamo usciti dalla stazione di polizia, e adesso è di nuovo piena di gente. I poliziotti di Dizengoff, che hanno comunque registrato la mia misera denuncia di furto, hanno detto: tornate subito a casa, qui è pericoloso, non andate a piedi. Ma hanno anche sorriso per un attimo, seri: buona giornata, e buon anno.

Di più su questi argomenti:
  • Annalena Benini
  • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.