Profughi siriani tentano di varcare il confine con la Turchia (foto LaPresse)

Le notizie sul massacro mediorientale che a Rovelli tristemente mancano

Adriano Sofri
Voglio raccontare la tristezza che ho provato ieri leggendo sul Corriere l’articolo di Carlo Rovelli intitolato (ma il titolo non c’entra) “Tre motivi per dire no alla guerra in Siria e Iraq”.

Voglio raccontare la tristezza che ho provato ieri leggendo sul Corriere l’articolo di Carlo Rovelli intitolato (ma il titolo non c’entra) “Tre motivi per dire no alla guerra in Siria e Iraq”. Il fisico Rovelli finalmente si è guadagnato un uditorio vastissimo e non specializzato. Io che sono un esemplare dei più deplorevoli di ignoranza scientifica l’ho tenuto d’occhio da molti anni, e in una piccola posta l’ho citato come colui “sul quale regolo buona parte delle mie opinioni a proposito del mondo”. Oggi gli chiederei di prendere in conto, se non le mie opinioni, alcune delle notizie a proposito del mondo che gli mancano.

 

“Quasi nessuno di questi /migranti in Europa/ viene dai territori controllati dall’Isis in Iraq”. Rovelli, così informato da “un rappresentante di organizzazioni di aiuto in Giordania”, pensa che “la gente non ha ragione di fuggire da molte zone sotto il controllo dell’Isis perché questi territori ora non sono più in guerra”. Vediamo: dai territori controllati dall’Isis in Iraq, cioè, a partire dal giugno del 2014, gran parte dell’Iraq sunnita, sono fuggiti – quando ci sono riusciti, e non sono stati massacrati se uomini, schiavizzate se donne – centinaia di migliaia di ezidi, cristiani, sciiti e turcomanni e membri di altre minoranze, oltre a un gran numero di sunniti spaventati e disgustati dal regime dell’Isis. Il Kurdistan iracheno – il dato è stato aggiornato ieri dal governo regionale e dalla Croce Rossa internazionale – accoglie tuttora la maggioranza dei 3,2 milioni di sfollati iracheni, cioè le persone scampate al territorio controllato dall’Isis. Le persone restate in quel territorio sono poco più numerose, circa 3,5 milioni, e “cercano di fuggirne appena ne intravvedano la possibilità”. Il Kurdistan iracheno ospita 250 mila profughi siriani, curdi ma non solo, e 2 milioni di iracheni, soprattutto delle province di Anbar e Mosul. Questi profughi (sono infatti sfollati solo di nome, essendo ormai i confini statali cancellati) coprono il 35 per cento della popolazione totale del Governo Regionale del Kurdistan. Dal KRG si muovono alla volta dell’Europa, ezidi, cristiani, arabi sunniti, e perfino, in modo allarmante per i governanti, anche giovani curdi locali, colpiti dalla crisi economica e sociale suscitata dallo stato di guerra, dal peso dei profughi, dal basso prezzo del petrolio, dalla sospensione degli investimenti stranieri e delle attività produttive, a cominciare dalle costruzioni. E, non ultima, dalla corruzione. Da molti giorni, nonostante l’impegno strenuo sulla frontiera lunghissima con l’Isis, il Kurdistan iracheno è scosso da manifestazioni di dipendenti pubblici, compresi i peshmerga, che non ricevono il salario dal 1° luglio. Rovelli non può non sapere che nei confronti di ezidi e cristiani l’Isis ha sferrato e continua a perseguire un’azione letteralmente genocida, e crimini di guerra nei confronti di chiunque non stia alla sua interpretazione della sharia, o sia sospetto per la sola origine religiosa o professione. Il genocidio fu arginato, benché mai fermato, dall’agosto del 2014, grazie a una resistenza dei combattenti curdi di Turchia, il PKK, e dei peshmerga, che sarebbe stata disfatta senza l’intervento aereo americano. Ezidi e cristiani poterono scampare dal monte Sinjar, sul quale erano braccati dagli uomini del Califfato, potenti per le armi tolte alla rotta irachena di Mosul, grazie ai bombardamenti aerei e al soccorso degli elicotteri. Così le migliaia di trucidati non diventarono decine e centinaia di migliaia. Ignorarlo è assurdo, qualunque cosa si pensi delle responsabilità americane (e britanniche eccetera) in quella regione: io penso che la guerra in Iraq sia stata delittuosa e disastrosa, e che le guerre per esportare la democrazia lo siano sempre. Ma trarne la conseguenza che lo sia anche ogni intervento di soccorso di una popolazione minacciata e falcidiata è una sciocchezza irresponsabile, non riscattata dalla presunzione di essere guidati dall’amore per la pace, di cui i fautori di un’azione di polizia internazionale sarebbero privi. La differenza qui rischia di separare semplicemente l’amore per la pace propria dall’amore per la pace altrui e di tutti.

 

Dunque Rovelli sbaglia quanto ai profughi dall’Iraq sunnita, e quando dice che la popolazione dei territori controllati dall’Isis non ha più una ragione per fuggire, perché non c’è più la guerra. La gente vive in quei territori in uno stato di guerra fanatica permanente e, le donne, di umiliante prigionia: l’adesione più o meno passiva che l’Isis riesce a riscuotere, quando non sia dettata dall’interesse, dipende dalla discriminazione del governo sciita di Bagdad e dei suoi protettori iraniani. Gli Stati Uniti hanno limitato il ruolo delle terroristiche milizie sciite, al costo di rinunciare, con la loro prudentissima strategia di “contenimento”, alla riconquista di Ramadi e di Mosul, e oggi la Russia decisionista di Putin ha radunato un’alleanza sciita, Iran Iraq Hezbollah e regime alavita di Bashar, che aggrava paura e disperazione della sequestrata popolazione sunnita. Che però è sequestrata e vessata.

 

Mettere in guardia sulle “reazioni emotive”?

 

Rovelli vuole sventare le reazioni “viscerali ed emotive” agli orrori. Trovo sconcertante che si metta in guardia dalle reazioni emotive dopo che per 4 anni e mezzo in Siria si fa strage di persone e di cose nella assoluta inerzia viscerale del mondo e nostra. Trovo più ragionevole sorprendersi, sbigottirsi, dell’assenza di una reazione, non dico emotiva, dopo tanti anni, ma razionale, a una violenza che ha finora fatto 250 mila morti e undici milioni di profughi. “Non ci piacciono gli Stati totalitari, ma non per questo bombardiamo Singapore”, scrive Rovelli. Singapore ha un regime piuttosto autocratico, dinastico e poliziesco, ma non vi si consumano al momento sterminii né genocidi. Ci sono regimi decisamente peggiori, e “non li bombardiamo”, perché ci facciamo i nostri affari, o perché – che purtroppo è un’ottima ragione fisica- non ne abbiamo la forza. E’ così nella Siria o nell’Iraq del sedicente Califfato?

 

[**Video_box_2**]Rovelli scrive parole nelle quali la disinformazione e l’illusione diventano surreali: “Non sappiamo chi stiamo andando ad aiutare. Nessun popolo ce lo ha chiesto. L’Isis non riesce nemmeno a togliere Kobane ai curdi, figuriamoci se riesce a minacciare la Nato”. I curdi ce l’hanno chiesto, e potevano, avendo istituzioni comunitarie e voci per farlo. I civili siriani ce l’hanno chiesto, famiglia per famiglia, tra le macerie o nelle tende, chiunque fosse il loro boia, ma nessuno li ha sentiti. L’hanno chiesto gli ezidi, i cristiani, i loro vescovi. Ma come si fa a scrivere che “l’Isis non riesce nemmeno a togliere Kobane ai curdi”? L’Isis, e la Turchia di Erdogan sua alleata in quel frangente, aveva tolto Kobane ai curdi, e li avrebbe uccisi fino all’ultima donna, all’ultimo bambino, se la loro resistenza davvero eroica non avesse ricevuto, in extremis, il soccorso dei bombardamenti aerei. Dal 23 settembre 2014, il 75 per cento dei raid della coalizione guidata dagli americani, più di 700, si è concentrato sulla regione di Kobane.

 

Spero che Rovelli, intelligente com’è, non sia più vanitoso e permaloso che intelligente. Leggo la sua conclusione, “Io sarei orgoglioso di un’Italia che abbia il coraggio di non contribuire a questa crescente spirale di violenza”, e rinuncio, ma solo per cortesia, a chiedergli di adattare il suo auspicio all’eventualità di bombardare i binari per Auschwitz, che anche la Croce Rossa volle scongiurare. Gli chiederò almeno di adattarlo alla Bosnia e all’assedio di Sarajevo e a Srebrenica. Io chiedevo di bombardare, allora. Passavo per guerrafondaio, amavano la pace, di qua dall’Adriatico. La gente di Sarajevo alzava la testa al cielo quando sentiva un jet, e pregava che lo facesse, sulla sua testa. La gente di Kobane alzava la testa al cielo, mentre lo facevano, ed esultava.