Un palestinese durante gli scontri al confine tra Israele e Striscia di Gaza (foto LaPresse)

Le lame di Gerusalemme

Redazione
Il terrorismo palestinese, le radici islamiste e quelle che portano ad Abu Mazen. Ecco perché ci sono responsabilità occidentali (follow the money)

"Per ogni capitolo della storia della violenza palestinese contro gli israeliani, c’è un’immagine emblematica”, scrive il Wall Street Journal in un editoriale. Dopo l’assalto alle Olimpiadi di Monaco nel 1972, fu l’uomo armato con passamontagna. Nella prima intifada degli anni Ottanta, i giovani che tiravano pietre. Nella seconda intifada nei primi anni 2000, gli attentatori suicidi. Secondo alcuni osservatori, ora è ancora presto per parlare di “terza intifada”, ma “l’immagine dell’epoca è già decisa: il terrorista che brandisce un coltello”. Così nelle ultime settimane sono stati attaccati oltre 50 cittadini israeliani, di cui 8 uccisi. “Questo è terrorismo nella sua forma più precisa e repellente – secondo il quotidiano americano – Un pericolo potenziale per chiunque esca dalla propria casa”. Un fenomeno difficile da contrastare per il governo di Gerusalemme. A meno di non andare alla fonte della propaganda istigatrice, sia religiosa sia politica.

 

Il Wsj infatti ricorda gli slogan dei religiosi di Gaza contro il nemico sionista trasmessi a reti unificate, ma anche le responsabilità del presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen, “che ha diffuso la voce secondo cui Israele starebbe per mutare lo status quo religioso del Monte del Tempio a Gerusalemme, sito della Cupola della Roccia e della moschea al Aqsa, nonostante le smentite israeliane”. Abu Mazen ha poi sparso la voce di un’esecuzione a sangue freddo di un giovane attentatore palestinese da parte degli israeliani, falso anche questo. Il tutto con la benedizione dell’occidente che continua a finanziarlo (solo l’America nel 2015 ha dato 441 milioni di dollari all’Autorità palestinese) “nell’illusione che Abu Mazen sia un partner affidabile per Israele alla ricerca della pace”. Anche per questo il governo di Netanyahu, conclude il Wsj, non dovrebbe ascoltare i critici che gli chiedono di fare concessioni sulla presunta “occupazione”. Una risposta dura e in profondità, è ciò che serve. “Quanto prima i palestinesi capiranno che gli israeliani non si piegano di fronte a coltelli e terrorismo, tanto prima gli accoltellamenti termineranno”.