Uno spettacolo aereo nellaperiferia di Mosca, lo scorso agosto

Mosca segue “il modello Taiwan” e crea un suo ministato siriano

Carlo Panella
Putin non ha la minima intenzione di impegnare i suoi “omini verdi” né a Damasco, né su altri fronti che non siano quelli della esclusiva difesa di Latakia e Tartous. La “lotta contro lo Stato islamico” sarà infatti solo uno specchietto per le allodole propagandistico

Vladimir Putin e Bashar el Assad si muovono oggi nella logica degli accordi America-Iran sul nucleare, ne sfruttano la logica politica e stanno preparando uno “scenario Taiwan”, nel caso l’imminente battaglia per Damasco obblighi il dittatore alla fuga dalla capitale, sulla base di una pianificazione definita a luglio nella visita a Mosca del generale dei pasdaran Qassem Suleimaini. La base politica su cui si regge l’accordo Usa-Iran sul nucleare (al di là dei tecnicismi) è quella enunciata da Barack Obama al Cairo il 6 giugno 2009: una mediazione tra Washington e Teheran per la stabilizzazione del medio oriente. In nome di questo obiettivo Obama non ha degnato di uno sguardo i “ragazzi dell’Onda verde” e ora consegna agli ayatollah – e ai pasdaran – 150 miliardi di dollari congelati e la fine delle sanzioni. L’Iran incassa la fiducia, registra il non interventismo americano, sfrutta la copertura dell’aviazione statunitense nella sua guerra allo Stato islamico in Iraq (che continua a perdere disastrosamente, vedi Ramadi) e soprattutto spende il jolly che Obama gli ha consegnato ben prima di iniziare la trattativa: piena libertà di difendere il regime siriano che gli è indispensabile per mille motivi geopolitici (e religiosi, in funzione anti sunnita). Ma ora Assad sta perdendo malamente la guerra (l’ammissione di 900 miliziani morti da parte di Hezbollah libanese ne è la conferma), quindi, nella logica politica dell’accordo sul nucleare, l’Iran concorda con Putin, tramite Suleimani, un “arrocco”, la messa in sicurezza del re in un angolo della scacchiera, difeso dalla torre russa. Da parte sua, l’Iran si prende carico con Hezbollah e i pasdaran della difesa di Damasco attaccata in queste ore dallo Stato islamico e da al Nusra (al Zawahiri ha appena lanciato un appello al fronte comune e alla fine delle divisioni), battaglia che sarà terribile e sanguinosa e sul cui esito né Mosca né Teheran (né Assad), sono pronti a scommettere:  la prova ne è la fuga dalla capitale del’alta borghesia (alawita, sunnita e cristiana).

 

Putin non ha la minima intenzione di impegnare i suoi “omini verdi” né a Damasco, né su altri fronti che non siano quelli della esclusiva difesa della “Taiwan” alawita di Latakia e Tartous. La “lotta contro lo Stato islamico” di cui parla Sergei Lavrov sarà infatti solo uno specchietto per le allodole propagandistico (lo si vede dallo schieramento militare sul terreno) e sarà rigidamente limitata alla difesa degli interessi strategici della flotta russa nel Mediterraneo, la base che gli Assad hanno sempre garantito a Mosca e che oggi diventa di vitale importanza per la prosecuzione, su territorio ristretto, del regime baathista.  Se Damasco sarà persa, si aprirà dunque lo “scenario Taiwan”: lo spostamento del  governo siriano legittimo nella regione alawita compresa tra Tartous e Latakia. Si formerà quindi un mini Stato siriano – legittimo sul piano formale – difeso e garantito solo dalle armi e dalla flotta russe. Uno Stato satellite di Mosca,  che coronerà il secolare sogno della Grande Russia, come dell’Urss, come della Federazione russa: avere un forte presidio territoriale e militare in pieno Mediterraneo, in raccordo con il controllo riacquisto sulla Crimea. L’Asse militare  navale tra Sebastopoli e Tartous (e Latakia) permetterà alla flotta russa un protagonismo nel Mediterraneo mai raggiunto sinora. Il tutto, ha ragione Lavrov, nella continuità, sin dalla sua indipendenza, della sostanziale integrazione politica e militare della Siria nel blocco sovietico e poi russo.

 

[**Video_box_2**]Il russo è la prima lingua straniera parlata in Siria per lontane ragioni storiche: nel 1944 fu Andrey Gromiko a contrapporsi al progetto della Francia di prorogare il suo protettorato su Damasco e a imporre l’indipendenza immediata della Siria. Da allora, tutti i vari governi golpisti e infine – dal  1970  in poi – il putchista Hafez al Assad hanno fatto dell’esercito siriano uno sbocco naturale ed esclusivo dell’armamento russo, in primis l’aviazione. Assad padre inoltre inviò all’università Lumumba di Mosca e nelle università sovietiche e poi russe buona parte dei giovani quadri dirigenti dello stato e dell’economia e soprattutto offrì Damasco (e la colonizzata Beirut) come fondamentale base d’appoggio per il Kgb e la Stasi (coordinati da Putin, tra gli altri) in medio oriente (Saddam Hussein non offriva garanzie), incluso il network palestinese terrorista organizzato da Wadi Haddad, agli ordini del generale Markus Wolf della Stasi, di cui facevano parte Carlos, Abu Nidal, Nayef Havatmeh, George Habash e Ahmed Jibril, che portò a termine larga parte degli attentati palestinesi (inclusi quelli contro la dirigenza Olp). E ora Damasco, da capitale del terrorismo gestito da Kgb e Stasi, rischia di diventare capitale del terrorismo jihadista.