Ancora con l'inerzia, Mr Obama?
Milano. Mostra anche tu un po’ di umanità, presidente Obama, dicono molti commentatori e politici che chiedono all’America di accogliere un po’ di rifugiati, di mostrarsi solidale con l’Europa e con i popoli che scappano dalla guerra. David Miliband, capo dell’International Rescue Committee, ha chiesto che gli Stati Uniti garantiscano l’accoglienza di 65 mila siriani entro il 2016, così come ha suggerito, in un appello, un gruppo di senatori democratici. Oxfam America dice che i rifugiati accolti dovrebbero essere 70 mila, mentre altre organizzazioni umanitarie hanno proposto numeri più contenuti: in ogni caso la cifra impallidisce di fronte agli 800 mila previsti in Germania e, ancor di più, di fronte ai 1.500 siriani accolti finora dagli Stati Uniti.
Fonti dell’Amministrazione hanno precisato che gli Stati Uniti hanno fornito 4 miliardi di dollari di aiuti umanitari fin dall’inizio della crisi siriana e più di un miliardo di dollari soltanto quest’anno: “L’America è il più grande donatore nella crisi siriana”, ha detto un portavoce della Casa Bianca. Ora altre fonti hanno fatto sapere che l’Amministrazione sta prendendo in considerazione la possibilità di un nuovo piano di accoglienza per dimostrare di essere “reattiva di fronte all’emergenza migratoria”: alcuni sostengono che Barack Obama farà un annuncio quando arriverà Papa Francesco a Washington, il 23 settembre, tempismo morale perfetto (la Conferenza dei vescovi americani ha dichiarato che il paese può accogliere 100 mila rifugiati). La questione è però molto controversa, soprattutto al Congresso a guida repubblicana: c’è un alto rischio di lasciar entrare i terroristi, dicono. “Abbiamo una lunga e fiera storia di accoglienza – ha scritto in una lettera alla Casa Bianca il deputato repubblicano Michael McCaul che presiede l’Homeland Security Committee del Congresso – Ma il conflitto siriano è un caso unico che richiede una vigilanza amplificata. In Siria c’è la più larga convergenza di terroristi islamisti nella storia”, tra Stato islamico, al Qaida e Hezbollah.
[**Video_box_2**]La Siria è un caso unico, ma assecondando lo slancio umanitario soltanto in termini di rifugiati da accogliere senza definire alternative strategiche per fermare la fuga dai bombardamenti assadisti e dallo Stato islamico – per fermare la guerra –, si rischia che tutto il medio oriente finisca per assomigliare alla Siria. Nell’unicità del caso siriano sta la più grande responsabilità degli Stati Uniti di Obama. Bret Stephens spiegava ieri sul Wall Street Journal che l’opportunità dell’Europa di rimanere “aperta” – nelle frontiere e nella predisposizione ideologica – è sempre stata garantita dalla “forza americana”, determinante nella sicurezza dell’occidente, e nella difesa dei suoi ideali. L’unicità siriana sta nel fatto che questo equilibrio è sfumato: Fred Hiatt, responsabile delle pagine degli editoriali del Washington Post, che è un quotidiano liberal, ha pubblicato nei giorni scorsi uno degli articoli più precisi e affilati sulla strategia obamiana in Siria – quell’inerzia che ha contribuito alla creazione di una convergenza islamista mai vista. Si intitola “Il risultato di Obama in Siria” e inizia così: “Questa potrebbe essere la più sorprendente eredità in politica estera per Obama: non soltanto il fatto che ha presieduto a un disastro culturale e umanitario di proporzioni epocali, ma soprattutto il fatto che ha placato gli americani a tal punto da non farli più sentire responsabili di questa tragedia”. Rassicurando gli americani sul fatto che “fare niente è una politica moralmente accettabile e intelligente”, la crisi siriana è diventata quella che è – perché ci sono stati tanti “Save Darfur” e nemmeno un “Save Syria”?, chiede Hiatt. Più la crisi diventava brutale, più Obama diventava inerte – anche adesso, all’apice del cordoglio umanitario e del relativo slancio, Washington prende tempo.