“La chiesa in Egitto non dovrebbe parlare, lasciando tale compito ai singoli individui. Per prudenza" (foto LaPresse)

L'esodo lento dei copti. “Siamo il primo obiettivo degli islamisti”

Matteo Matzuzzi
Dopo gli attacchi simultanei compiuti martedì nella penisola del Sinai da gruppi jihadisti affiliati al Stato islamico, la chiesa copta ortodossa è scesa in campo esprimendo “vicinanza e sostegno alle forze armate egiziane”, definite un “pilastro della nazione” impegnato nella difesa della nazione contro “le forze del male”.

Roma. Dopo gli attacchi simultanei compiuti martedì nella penisola del Sinai da gruppi jihadisti affiliati al Stato islamico, la chiesa copta ortodossa è scesa in campo esprimendo “vicinanza e sostegno alle forze armate egiziane”, definite un “pilastro della nazione” impegnato nella difesa della nazione contro “le forze del male”. In Egitto i copti costituiscono il 10 per cento della popolazione. Una presa di posizione netta, quella della chiesa ortodossa locale, che però “complica la vita del cristiano copto di strada, che così diventerà ancora di più bersaglio prediletto per gli islamisti”, dice al Foglio Ashraf Ramelah, fondatore e presidente di Voice of the Copts, organizzazione no profit attiva nella difesa dei copti egiziani. “La chiesa in Egitto non dovrebbe parlare, lasciando tale compito ai singoli individui e limitandosi a perseguire solo scopi spirituali. Tawadros II, il Papa copto, aveva dichiarato che lui non sarebbe mai intervenuto sulle questioni politiche, invece l’ha fatto. E questo complica le cose”. Il motivo è presto detto: “La storia insegna che ogni volta che in Egitto si deve andare alla ricerca d’un obiettivo da colpire, questi sono i copti. Non è una questione di debolezza, è che sono soverchiati da una chiara supremazia islamica fin dal 1952, anno della rivoluzione nasseriana. Da allora, la Fratellanza ha occupato le scuole e i posti di lavoro”, ricorda il nostro interlocutore, che sorride quando si ricordano le migliaia di musulmani fatti sparire da Nasser: “Erano suoi oppositori, tutto qui”. La situazione dei cristiani si è aggravata con Anwar el Sadat che aprì le porte delle prigioni e “aizzò all’odio contro di noi”.

 

Due anni fa, ricorda Ramelah, “nel momento in cui si scese in piazza per cacciare Mohammed Morsi, i primi a essere presi di mira furono i copti. Quando sono state pubblicate le sentenze di condanna a morte per numerosi esponenti della Fratellanza musulmana, da ambienti di quest’ultima è stata fatta circolare la voce che a manovrare dietro le quinte per favorire tale verdetto sarebbero stati proprio i copti. E così nella guerra del 1967, quando furono persino accusati di aver fatto perdere Nasser, cospirando con l’esercito israeliano”. Quel che si vede oggi nel Sinai, con l’esodo di numerose famiglie cristiane sempre più minacciate dagli integralisti, non deve stupire più di tanto, insomma. “A ogni modo, non mi soffermerei solo sul Sinai”, aggiunge: “Lì l’esercito ha intenzione di evacuare tutti i civili per poter attaccare in piena libertà i jihadisti. Piuttosto, si dovrebbe parlare di tanti piccoli esodi che stanno avvenendo anche all’interno dell’Egitto, come nell’area di Minia, dove quindici famiglie accusate di aver insultato il Profeta sono state allontanate”.

 

[**Video_box_2**]Nell’Alto Egitto, poi, dalla caduta di Hosni Mubarak s’è diffuso il cosiddetto business del rapimento sistematico di cristiani: secondo calcoli di Mina Thabet, fondatore del Partito di iniziativa popolare, solo nella provincia di Minia la somma di denaro usata per pagare i riscatti di copti rapiti ammonterebbe a circa sedici milioni di euro. L’obiettivo degli integralisti, osserva il fondatore di Voice of the Copts, è di “replicare al Cairo quel che stanno facendo in Iraq e Siria” – dove anche ieri è proseguita l’opera di riduzione in macerie dell’antico sito archeologico di Palmira, con la distruzione della celebre statua del Leone al Lat. Solo che in Egitto gli estremisti hanno a che fare con l’esercito di Abdel Fattah al Sisi che vuole fare piazza pulita (e in tempi brevi) d’ogni sacco jihadista. Su Sisi, Ramelah sospende il giudizio: “Per me è ancora un enigma. Dà la caccia agli integralisti nel Sinai, ma poi appare ben più morbido con i salafiti. Non so perché lo faccia, non è chiaro. Si potrebbe pensare che più che tutelare il paese, voglia tutelare il suo potere, ma è ancora presto per dirlo. Quel che è certo è che, rispetto al discorso dello scorso dicembre all’università di al Azhar, dove aveva chiesto ai dotti dell’islam di propiziare una ‘rivoluzione nell’islam’ che mettesse al bando l’interpretazione letterale del Corano, si è registrato un netto passo indietro”.

  • Matteo Matzuzzi
  • Friulsardo, è nato nel 1986. Laureato in politica internazionale e diplomazia a Padova con tesi su turchi e americani, è stato arbitro di calcio. Al Foglio dal 2011, si occupa di Chiesa, Papi, religioni e libri. Scrittore prediletto: Joseph Roth (ma va bene qualunque cosa relativa alla finis Austriae). È caporedattore dal 2020.