Il presidente cinese Xi Jinping con Barack Obama (foto LaPresse)

Obama si sta perdendo la Cina

Redazione
America e Cina hanno iniziato martedì l’annuale incontro strategico ed economico sotto i grigi auspici dell’ultima, ennesima incursione degli hacker cinesi nei sistemi del governo federale americano.

America e Cina hanno iniziato martedì l’annuale incontro strategico ed economico sotto i grigi auspici dell’ultima, ennesima incursione degli hacker cinesi nei sistemi del governo federale americano. La Casa Bianca ufficialmente non ha accusato Pechino del misfatto, ma i funzionari americani fanno sapere che i dialoghi sul tema sono stati particolarmente franchi, perfino duri, ed è così che funziona fra potenze che in nome dell’interesse devono bilanciare convergenze e divergenze. Poi c’è il fumo rituale del protocollo e della forma, che pure ha una sua logica diplomatica, specialmente nelle relazioni con il Politburo. Gli attriti intorno alla cybersicurezza che rendono il summit di quest’anno particolarmente avaro di aspettative rischiano però di oscurare una questione più generale, ovvero l’andamento della strategia di Barack Obama nei confronti della Cina. Prima che altre priorità geopolitiche attirassero lo sguardo americano altrove, il presidente ha a lungo sbandierato il “pivot verso l’Asia” come la più ambiziosa delle sue iniziative. Non si trattava a suo dire, di un aggiustamento del tiro né di una distrazione per far dimenticare gli scenari della guerra al terrore, quanto di un grandioso spostamento dell’asse americano verso l’area del Pacifico, roba forte e strategicamente lungimirante. Peccato che le cose non abbiano funzionato granché.

 

L’idea cardine di consolidare l’egemonia americana nella parte occidentale del Pacifico si è volatilizzata, Pechino tratta come suoi tutti i territori contesi con Malesia, Filippine, Vietnam e altri alleati americani dell’area, e fra un pivot e l’altro ha adibito – spiega un report della Difesa – oltre ottocento ettari di terreno nella zona a uso militare. Il Pentagono un piano di deterrenza per fermare l’espansionismo cinese ce l’avrebbe anche, ma non tutti nell’Amministrazione sono d’accordo nel metterlo in atto, indecisione che legittima la percezione d’impunità già diffusa in Cina. Inoltre – ed è sempre il Pentagono a dirlo – Pechino sta facendo “seri sforzi” per mettere in dubbio la superiorità aerea degli Stati Uniti. L’integrazione economica cinese in un sistema controllato dagli Stati Uniti non  ha avuto sorte migliore. L’Asian Infrastructure Investment Bank lanciata lo scorso anno è uno schiaffo alla World Trade Organization a trazione americana, e Obama non ha preso bene – eufemismo – l’ingresso di Gran Bretagna e Australia in questa specie di banca mondiale a tinte cinesi. L’accordo di libero scambio nell’area del Pacifico su cui il Congresso si sta lacerando trasversalmente ormai da mesi è l’ultima arma rimasta a Obama per tenere in qualche modo viva l’immagine del pivot asiatico. L’incursione degli hacker è l’ultimo dei problemi cinesi di Obama.

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