Selahattin Demirtaş

Chi è Selahattin Demirtaş, l'incubo curdo-libertario di Erdoğan

Mariano Giustino
Il partito Giustizia e sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdogan incassa un pessimo risultato elettorale alle elezioni parlamentari svoltesi ieri in Turchia, fermandosi al 40,8 per cento delle preferenze. La minoranza curda festeggia il 12,9 per cento dei consensi ottenuto dal Partito democratico dei popoli (Hpd) alle elezioni politiche che si sono svolte ieri in Turchia.

Il partito Giustizia e sviluppo (Akp) del presidente Recep Tayyip Erdogan incassa un pessimo risultato elettorale alle elezioni parlamentari svoltesi ieri in Turchia, fermandosi al 40,8 per cento delle preferenze. La minoranza curda festeggia il 12,9 per  cento dei consensi ottenuto dal Partito democratico dei popoli (Hpd) alle elezioni politiche che si sono svolte ieri in Turchia. Riproponiamo il ritratto di Selahattin Demirtaş, leader del partito curdo che ha ottenuto lo storico risultato.

 

Ankara. Le elezioni parlamentari che si terranno in Turchia domenica non sono elezioni ordinarie, hanno tra le altre cose la caratteristica di un referendum per scegliere tra parlamentarismo e quel “sistema presidenziale alla turca” tanto agognato dal presidente della Repubblica Recep Tayyip Erdoğan. Egli in realtà ha già istituito de facto un sistema presidenziale e nella sua concezione i “checks and balances”, fondamento dello Stato di diritto, sono un ostacolo e una perdita di tempo per il suo agire politico di uomo solo al comando del paese. Il Presidente sa che la quarta vittoria consecutiva per il suo Partito della Giustizia e dello Sviluppo (AKP) in queste elezioni è scontata, ma egli pretende una legittimazione popolare al suo operato. E dunque ha bisogno di almeno 330 seggi per poter realizzare da solo il cambiamento costituzionale da lui ambito.

 

Nei sondaggi l’AKP è in calo del 5 per cento almeno; ma la cosa che più preoccupa Erdoğan è che vi è un partito filocurdo e di sinistra libertaria, il Partito democratico dei popoli (Hdp), guidato dal giovane quarantaduenne attivista dei diritti umani Selahattin Demirtaş, che potrebbe – come indicano molti sondaggi – superare la soglia di sbarramento del 10 per cento a livello nazionale, inviando una folta pattuglia di candidati in Parlamento e sottraendo all’AKP, dopo tredici anni, la maggioranza assoluta.

 

Demirtaş è un vero e proprio incubo per i sogni del “sultano di Ankara”, il quale cerca di screditarlo a tutti i costi agli occhi dell’elettorato, accusandolo di essere antireligioso, di aver candidato gay, zoroastriani e atei, di voler dividere il paese e di essere collegato al terrorismo curdo in modo tale che vengano a mancare per lui i voti dei curdi conservatori e religiosi del sud-est anatolico e quelli dei nazionalisti dell’ovest e del centro Anatolia.

 

Per recuperare consenso popolare Erdoğan tenta la carta che più gli è congeniale: quella della radicalizzazione delle posizioni politiche e delle divisioni etniche e religiose, fomentando sentimenti reazionari, nazionalisti e intrisi di estremismo religioso che resistono ancora negli strati più arretrati della popolazione turca. Durante i suoi comizi è giunto perfino a brandire dal palco il libro sacro dell’Islam per attaccare i partiti laici accusati di scarsa osservanza religiosa, affermando che egli invece “è stato allevato con il Corano, che è vissuto con lui”.

 

Dal partito filocurdo democratico dei popoli potrebbe dunque arrivare un argine allo strapotere di Erdoğan e ciò avverrebbe con l’affermazione del primo partito nella storia della Turchia che ha al centro della propria agenda la difesa e la promozione dei diritti umani, sociali e politici, dei diritti delle donne, dei diritti di tutte le minoranze etniche e religiose, di quelli LGBT e la difesa dell’ambiente. L’HDP è inoltre anche espressione della cosiddetta «generazione di Gezi», nata all’indomani delle proteste antigovernative della primavera del 2013, ed è l’unica forza politica ad utilizzare il sistema delle co-presidenze: per ogni incarico infatti è prevista la presenza di un uomo e di una donna, e la metà dei loro candidati alle elezioni del 7 giugno è di genere femminile.

 

[**Video_box_2**]Selahattin Demirtaş ha una forte storia di battaglie civili alle spalle e gode del favore di buona parte della sinistra turca; è un leader politico di razza, carismatico ed è in possesso di una retorica assolutamente innovativa; è dotato di senso dell'umorismo, ha un linguaggio per nulla aggressivo ed è rispettoso e tollerante nei confronti dei suoi avversari politici.

 

Egli, come ama ripetere spesso, rappresenta col suo partito «una grande umanità», quella umanità «oppressa da sempre in Turchia: l’umanità dei senza voce, dei senza diritti». «Noi difendiamo la laicità libertaria, non il laicismo. Difendiamo al contempo tutte le fedi e ogni stile di vita», ha detto. Tra i suoi obiettivi vi è quello di attirare i voti degli alevi e delle fasce più liberali e democratiche presenti tra l’elettorato del partito laico, lo storico Partito repubblicano del popolo (CHP), il maggior partito di opposizione, che si definisce socialdemocratico, ma che è ancora prigioniero della vecchia ideologia nazionalista e kemalista.

 

Il suo riferimento è una «democrazia radicale» che punta a diminuire il potere del governo centrale incrementando quello delle amministrazioni locali. «È necessario porre al centro del processo di pace con Ankara la questione dell’autonomia democratica come presupposto per il superamento dell’ideologia dello Stato-nazione che ha generato una società altamente polarizzata, con le sue storiche politiche di assimilazione forzata di ogni tipo di minoranza», ha recentemente scritto in un suo libro.

 

Demirtaş è impegnato in una operazione di importanza rivoluzionaria e inimmaginabile in questo paese fino a qualche anno fa: quella di traghettare la galassia del movimento curdo e quella per i diritti umani sul terreno della lotta politica nonviolenta. Si è dichiarato pronto a lanciare una vasta campagna gandhiana per il riconoscimento dei diritti di tutte le minoranze e per l’abolizione dell’elevata soglia di sbarramento esistente nella legge elettorale.

 

I curdi nel 2007 e nel 2011 avevano presentato candidati indipendenti nelle zone del sud-est anatolico ottenendo una consistente rappresentanza parlamentare che ha consentito di avviare un promettente processo di pace per la risoluzione della loro annosa questione e che ha determinato la fine della lotta armata. Questa volta hanno scelto di presentarsi con un partito e se non riusciranno a superare lo sbarramento elettorale previsto non vi sarà più una rappresentanza curda in Parlamento: mancherebbero un attore indispensabile per il processo di pace e una componente fondamentale del movimento per i diritti civili e, con ogni probabilità, l’AKP riuscirebbe a cambiare la Costituzione senza il coinvolgimento di alcun altro partito. E tutto ciò sarebbe un disastro per la fragile democrazia turca.

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