Barack Obama e il re saudita Faisal lo scorso gennaio (foto LaPresse)

Corsa all'uranio

Redazione
Se l’Iran ha il nucleare, dicono i sauditi, lo vogliamo anche noi. Gli effetti dell’appeasement di Obama con Teheran.

Roma. Per il presidente americano Barack Obama, stringere un accordo con l’Iran è da sempre un modo per rendere il mondo un posto più sicuro e per evitare la proliferazione nucleare. Ma ora che il deal sta per essere siglato alla fine di giugno, se i negoziati vanno come previsto, e che l’occidente si prepara a riconoscere il diritto dell’Iran di arricchire l’uranio a scopi civili, le monarchie del Golfo radunate a Camp David per chiedere spiegazioni (e armi) al presidente pretendono sull’atomo lo stesso trattamento riservato al regime degli ayatollah. Per ogni grammo di uranio che gli iraniani sono autorizzati ad arricchire, dicono, noi ne arricchiremo altrettanto; qualunque capacità nucleare avrà Teheran, l’avremo anche noi. Ieri e mercoledì Obama ha ospitato l’atteso summit con i paesi del Golfo (Arabia Saudita, Emirati arabi uniti, Kuwait, Oman, Bahrein e Qatar), quello con cui Obama sperava di far mandar giù alle riluttanti monarchie sunnite l’accordo nucleare con l’Iran, e che per tutta risposta i re sunniti, primo fra tutti re Salman dell’Arabia Saudita, hanno deciso di disertare, mandando dei delegati. Molte richieste dei paesi del Golfo (armi sofisticate, uno scudo antimissile, un trattato di mutua difesa sul modello di quello stipulato con Giappone e Corea del sud) sono state bocciate già prima dell’inizio del vertice, e così, mentre i monarchi del Golfo iniziano a pensare che non si possono fidare di Washington (soprattutto perché Washington non si fida di loro), e mentre Obama accoglieva i sauditi confondendo il nome di uno dei delegati, vice principe della corona, il New York Times racconta che la diplomazia dell’Arabia ha già iniziato in mezzo mondo la campagna per una nuova corsa all’uranio.

 

“Non possiamo starcene seduti mentre l’Iran può mantenere gran parte della sua capacità (nucleare) e proseguire nella sua ricerca”, ha detto uno dei membri della delegazione saudita al New York Times. L’ex capo dell’intelligence saudita, il principe Turki bin Faisal, pochi giorni fa a una conferenza ha espresso il messaggio in maniera ancora più chiara: “Quello che avranno gli iraniani, l’avremo anche noi”. Questo significa che se gli iraniani arriveranno alla Bomba una delle regioni più instabili del mondo, i cui stati non riconoscono il diritto di Israele a esistere, si riempirà di nuove potenze nucleari. L’Arabia Saudita non è nuova a questo genere di minacce. E’ dall’inizio del negoziato con l’Iran che paesi del Golfo dicono che in caso di accordo si aprirà la strada alla proliferazione, e il principe Bin Faisal ha già parlato molte volte di compensare l’Iran con un programma nucleare saudita, per esempio nel 2014. Ma fino a oggi le minacce di Riad erano più che altro materiale di scambio negoziale. Oggi, con il deal quasi fatto, sembrano più serie. L’Arabia Saudita non ha un programma nucleare attivo, e ha bisogno di aiuto esterno per iniziare ad arricchire l’uranio. Il candidato principale per fornirlo è il Pakistan, i sauditi finanziarono indirettamente il programma nucleare pachistano, e gli analisti ritengono che Islamabad potrebbe dare ai sauditi non solo la tecnologia, ma direttamente l’arma atomica. Fin dal 2011, inoltre, i cable diplomatici trafugati da Wikileaks mostravano l’esistenza di discussioni intense tra l’Arabia e il Pakistan su trasferimenti di tecnologia atomica e accordi di sicurezza legati all’atomo. Un programma nucleare richiede decenni per essere completato, e l’Arabia Saudita non diventerebbe una potenza nucleare nel giro di breve. Ma i funzionari arabi che hanno parlato con il Times hanno detto che i paesi del Golfo stanno già discutendo la possibilità di un programma nucleare congiunto, che potrebbe ridurre i tempi.

 

[**Video_box_2**]La minaccia dei sauditi di creare un proprio programma nucleare è il pericolo che l’Amministrazione americana ha cercato di scongiurare. Ma dopo una lunga stagione di appeasement con Teheran, che ha esaurito la fiducia degli alleati del Golfo e messo in crisi la “relazione speciale” tra Washington e Gerusalemme, è probabile che la corsa all’uranio non si fermerà sia che l’accordo sia siglato – e l’Iran continui ad arricchire il suo uranio, con qualche restrizione a termine –, sia che le trattative saltino – e l’Iran continui l’arricchimento senza restrizioni. L’unica alternativa sarebbe lo scontro con Teheran, ma questo è l’altro pericolo che l’Amministrazione americana ha cercato di scongiurare in ogni modo.