Il re saudita Salman bin Abdulaziz (foto LaPresse)

Il re saudita fa un golpe di palazzo per rafforzare le forze di terra

Carlo Panella
Riad si accorge di non riuscire a contrastare sul campo le forze legate all’Iran. I problemi di efficienza della “Nato araba”

Roma. Gli equilibri di potere alla corte dell’Araba Saudita sono stati sconvolti da una specie di “golpe di Palazzo”. Riad è alle prese con alcune novità: si è resa conto, nella crisi yemenita, di non disporre di un esercito di terra efficace (anche perché composto essenzialmente di mercenari). Non riesce a imporsi nella guerra civile dello Yemen ma è addirittura minacciata dalle milizie yemenite Houti, che sono state a un passo da invaderla da sud. L’invasione è stata contenuta, come risulta da fonti del Foglio, solo con l’arrivo aviotrasportato e “coperto” di reparti dell’esercito del Pakistan, che hanno presidiato il territorio saudita, attaccando le cinque postazioni strategiche conquistate dagli Houti al confine tra i due stati. In questo contesto, il re Salman bin Abdulaziz ha effettuato ieri quel delicatissimo passo che da anni gli analisti giudicavano foriero di lacerazioni al vertice del regno: il passaggio del trono, sempre passato da fratello a fratello, a un principe della “seconda generazione”. Salman ha “dimissionato” dalla carica di principe ereditario il fratellastro Muqrin (formalmente consenziente) e ha nominato al suo posto il nipote Mohammed bin Najaef e – fatto ancora più rilevante – ha nominato al secondo posto nella linea di successione il proprio figlio Mohammed bin Salman, attuale ministro della Difesa. Salman ha anche licenziato il ministro degli Esteri Saud al Faisal che occupava quella carica da quarant’anni. Queste mosse sono state fatte  a soli tra mesi dall’inizio del suo regno e quattro giorni dopo che era stato comunicato che la Guardia nazionale saudita sarebbe stata spostata a presidio delle frontiere.

 

Salman punta a due risultati: eliminare dalla linea di successione tutti i discendenti dei precedenti re (sono più di cento) e riservarla, in alternanza, alla discendenza di Najaef e alla propria (ma il suo erede designato Mohammed ha solo trent’anni e quindi, quando salirà al trono, potrà governare presumibilmente per un periodo lunghissimo). Quel che più pesa è la sua scelta di concentrare tutto il potere reale e simbolico nelle mani di chi controlla quelli che in Urss erano chiamati i “ministeri della Forza”: la Difesa e l’Interno, i due dicasteri oggi condotti dai due eredi al trono. La scelta è stata probabilmente obbligata dall’esito disastroso, sinora, della campagna Resort Hope di contrasto alla ribellione sciita in Yemen. All’indomani della storica decisione di formare un corpo integrato di forze armate sunnite (una specie di Nato araba), pronte nell’immediato a sconfiggere gli sciiti Houti in Yemen e in futuro a contrastare l’espansionismo iraniano ovunque (Siria, Iraq, Libano), è apparso evidente quanto sapevano solo alcuni analisti: i paesi arabi possono disporre solo di aviazioni mediamente efficienti, ma hanno armate di terra disastrose e disastrate. Le forze di terra saudite si sono dimostrare inefficaci, così come sono deficitarie quelle dell’Egitto (incapaci di contrastare il jihadismo nel Sinai), e di fatto inesistenti quelle degli Emirati del Golfo. Tra i paesi che hanno fondato la “Nato araba” solo la Giordania e il Marocco dispongono di eserciti di terra efficienti. Ma la Giordania è costretta a usare tutte le sue forze per difendersi ai confini con la Siria e l’Iraq, mentre il Marocco è troppo lontano dal teatro delle operazioni anti iraniane per poter essere di utilità sul terreno.

 

[**Video_box_2**]La “trincea sunnita” anti iraniana e sciita si è dimostrata per ora una chimera. Da qui la necessità di trovare rapidi rimedi. Il primo è la consegna del potere politico a Riad a chi controlla il potere militare.

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