Il primo ministro thailandese, Prayuth Chan-ocha (foto LaPresse)

Potere è verità. Che cosa ci insegna la legge sul sospetto in Thailandia

Giovanni Maddalena
Della Thailandia conosciamo quasi solo cibo salutista e massaggi. Eppure, da quasi un anno c’è un governo militare impostosi con una specie di golpe bianco. Un duce con un monarca, storia che si è già vista ma che contiene sempre spunti importanti.

Della Thailandia conosciamo quasi solo cibo salutista e massaggi. Eppure, da quasi un anno c’è un governo militare impostosi con una specie di golpe bianco. Un duce con un monarca, storia che si è già vista ma che contiene sempre spunti importanti – e universali – per chi stia attento a linguaggi e problemi di libertà.

 

Secondo Asia News, il generale primo ministro informa che legge marziale sarà abolita. “Evviva”, si direbbe, e in realtà viene fatto proprio perché “evviva” lo dicano le multinazionali. In cambio, sarà approvato un pacchetto sicurezza che conferisce al medesimo primo ministro potere assoluto e alla polizia il diritto di arrestare senza mandato, cioè sul solo sospetto. Multinazionali contente e potere assicurato. I giornalisti nel frattempo vengono informati che nel caso non riportino la “verità”, ed è “vero” ciò che conduce alla “riconciliazione nazionale” sotto il duce-premier, verranno giustiziati. Il meccanismo thailandese è un grande classico delle dittature e dei totalitarismi, studiati bene da Vasilij Grossman e Hannah Arendt: ideologia, legge sul sospetto e violenza.

 

Un’interpretazione troppo ripetuta dice che il problema sta nel pensare che ci sia la verità. Tutte le dittature hanno queste pretese di verità perché tutte le verità sono per loro natura dittatoriali o totalitarie. Meglio che non ci sia nulla di vero, nulla di interessante che rischi di accendere troppo cuore e cervelli. Meglio un sano mediocre scetticismo. Come avremmo ormai dovuto imparare dal fascino del Califfato su innumerevoli persone educate in Occidente, questa ricetta scettica non funziona. Conviene piuttosto fare una distinzione tra idolo (e ideologia) e verità.

 

L’ideologia non consiste nel sostenere che ci sia una verità o la verità ma nell’identificare un valore, in questo caso la “riconciliazione nazionale”, con l’intero orizzonte di significato. Il termine giusto è “idolo”, non verità. Gli idoli “hanno mani e non palpano, hanno orecchie e non sentono, hanno naso e non odorano”, cioè vogliono essere Dio ma non sono reali, sono dei pezzi inerti di legno e non possono rispondere alle istanze dell’uomo. Il valore di partenza ovviamente non è mai sbagliato – posso immaginare che la riconciliazione nazionale della Thailandia non sia un male – ma è una sua versione ipertrofica che deve cancellare sempre qualche fattore della realtà. Che ci sia qualcosa che non funziona lo si capisce perché gli idoli chiedono sempre dei sacrifici umani, in questo caso giornalisti (che sono esseri umani). Che l’uomo sia fatto per il sabato o il sabato per l’uomo è la grande alternativa tra idoli e amore alla mai-totalmente-circoscrivibile verità.

 

[**Video_box_2**]E’ solo una lontana storia orientale e una ormai passata vicenda occidentale? No, per fortuna con gradazioni diverse, si può essere ideologici in qualunque aspetto della vita, dagli Stati alle aziende, dal partito all’associazione, dall’ufficio alla parrocchia. L’ideologia è una tendenza della mente umana.

 

Il monito del dittatore thailandese mostra solo come, automaticamente, quando si confondono idoli e verità, poi si confondono critica e dubbio o inimicizia. Finisce così che i dittatori sopprimono quelli che segnalano problemi reali (critica), temendoli come nemici, e premiano esclusivamente coloro che confermano il loro mondo, composto esclusivamente dall’idolo che hanno scelto. Così si innesca quel meccanismo dei “cerchi” di potere che fa allontanare sempre di più i capi (di stato, di partito, d’ufficio, di parrocchia) dalla percezione effettiva della realtà. Solo che i fatti, testardi, si accumulano e prima o poi, anche eliminando i critici, li sommergono. Come aveva intuito Chaplin, la fine dei grandi dittatori prima che nella tragedia avviene nel ridicolo.

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