La vuota retorica dello stato palestinese, il realismo d'Israele
Nel suo ultimo libro “World Order”, Henry Kissinger ritiene che Israele, nel momento della sua nascita, potesse rappresentare uno stato di tipo westfaliano, cioè uno stato che, sull’esempio della pace di Westfalia, potesse rappresentare soltanto “un pratico adattamento alla realtà”, all’interno di un sistema di stati mediorientali anch’essi inclini ad accettare la realtà regionale senza pretese. Gli Stati Uniti avrebbero dovuto svolgere il ruolo di difensore di quest’ordine internazionale westfaliano. Ma il medio oriente non si è mai adattato a far parte di tale sistema, fondato sull’equilibrio delle forze. E questo a causa dell’islam. Kissinger: “Gli stati e le fazioni presenti in medio oriente consideravano (…) l’ordine internazionale da un’ottica interna alla sensibilità islamica”. Ciò ha impedito un approccio alla realtà secondo i criteri di opportunità, ragionevolezza, concretezza, addirittura d’interesse nazionale. Perciò, secondo Kissinger, il dato dominante è sempre stato l’instabilità cronica della regione e la perdurante difficoltà di Israele di essere accettato in quest’ordine mediorientale. La situazione attuale è ancora più complicata. La freddezza nei rapporti tra Israele e Stati Uniti di Obama, il montare dell’antisemitismo in Europa, ma soprattutto la distruzione del sistema mediorientale degli stati arabi, pongono problemi vitali per Gerusalemme. Quale che possa essere il tipo di governo in Israele, ciò non potrà mai alterare una realtà bloccata intorno al pregiudizio islamico verso l’ebraismo e soprattutto la concezione dell’islam come visione del mondo superiore e inconciliabile con il resto dell’umanità.
Israele deve elaborare una politica più attiva verso il contesto mediorientale. La vittoria di Netanyahu è stata netta e senza discussioni. Quasi un trionfo. L’elettorato ha scelto la sicurezza. Fino a qualche anno fa, sicurezza voleva dire contrastare i paesi arabi nemici e batterli. Ora il quadro è completamente mutato, il sistema statale arabo è per buona parte collassato e l’Iran sta divenendo il padrone della scena mediorientale. In fondo, il pericolo dello Stato islamico, per quanto grave, come si è visto di recente a Tunisi, non sembra avere la forza politica, diplomatica e militare rispetto al processo, neppure troppo graduale, di penetrazione di Teheran nel medio oriente, una penetrazione che tende, come nel caso di Hamas sunnita, a superare le tradizionali, feroci divisioni tra sunniti e sciiti. Un processo continuo grazie anche alla debolissima visione della realtà mediorientale da parte di Obama. Sia gli Stati Uniti sia l’Europa contano ormai poco o niente nella situazione mediorientale, avendo perso progressivamente le chiavi di lettura di una realtà che ormai sfugge loro per indifferenza, inettitudine, ipocrisia. Netanyahu deve riprendere una politica attiva verso quei paesi arabi con cui a suo tempo ha stipulato la pace e che hanno tutto l’interesse a riportare l’area in una condizione più accettabile. In realtà, nonostante l’obbligatoria retorica, Egitto e Giordania hanno veramente a cuore la nascita di uno stato palestinese? L’esempio di Gaza è istruttivo. Quando nel 2005 Sharon abbandonò Gaza, quale fu l’esito? Il radicamento in quella realtà dei terroristi di Hamas che minacciano Israele. Perché l’abbandono della Cisgiordania da parte di Israele porterebbe alla coesistenza pacifica tra i due stati e non, invece, a una nuova presa di potere da parte di entità terroristiche? A questo punto, la minaccia contro Israele coinvolgerebbe anche Giordania ed Egitto. Perciò è necessario che Netanyahu superi l’attuale isolamento di Israele nel suo contesto e proponga a Egitto e Giordania, che per vari motivi condividono interessi e pericoli di Gerusalemme, un’esplicita alleanza politico-militare contro l’avanzata dell’Iran nell’area mediorientale.
Isteria migratoria