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Editoriali

Il botto dei salari in Giappone. Le imprese accolgono l'appello del premier

Redazione

Negli aumenti retributivi di quest'ultimo anno in Giappone c'è anche una lezione per l'Italia: si chiama produttività 

Ieri in Giappone era il giorno dello shuntō, il confronto annuale tra imprese e sindacati sui salari. La notizia è che gran parte delle grandi imprese accoglie le pressioni che il premier Fumio Kishida esercita da 20 mesi: concedete rilevanti aumenti. Toyota, Nissan, Panasonic, Japan Steel e numerosi altri grandi gruppi hanno annunciato aumenti retributivi tra  il 5,5% e il 7% annuo, in Giappone non avveniva dal 1992. C’è una lezione anche per l’Italia, ma prima di dirlo bisogna tener conto di alcuni dati. Il problema pluridecennale del Giappone è la deflazione: bassissima crescita dovuta a disastrosa curva demografica, occupazione  rigida, calo della produttività dopo il balzo fino a trent’anni fa, politica monetaria dal 2013 inchiodata al quantitative easing che ha moltiplicato per sette gli asset della banca centrale a furia di acquisti per sostenerne il prezzo, e dal 2016 tassi d’interesse negativi.

Quando nel 2022-2023 l’inflazione salì fino al 4,6% la banca centrale non alzò i tassi, infatti a dicembre l’inflazione era di nuovo scesa sotto il 2.42% annuo che Bank of Japan si dà come obiettivo. Ecco perché oggi si guarda di buon occhio agli aumenti, al Giappone un po’ d’inflazione in più fa solo bene e consente di smetterla con tassi negativi e acquisti di titoli. Da noi la situazione è opposta, i tassi Bce sono saliti verticalmente di fronte all’eccesso di inflazione. Il Giappone poi sui salari stava peggio di noi: secondo l’Ocse nel 2022 per ora lavorata da un dipendente full time la retribuzione media lorda giapponese era di 25,8 dollari e di 26,5 in Italia, rispetto ai 42,8 degli Usa e ai 44 in Germania. Kishida ha riservato in questo 2024 l’equivalente di 6,8 miliardi di dollari in incentivi alle imprese per più salario-più produttività. Il governo italiano ha stanziato 14 miliardi tra tagli Irpef e conferma di sgravi contributivi tutti riservati ai lavoratori a basso reddito. Sacrosanti, ma di agevolazioni alle imprese per salari-produttività coprendoli con tagli a spesa improduttiva, chissà perché da noi non si avverte il bisogno.

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