Editoriali

Non ci si può fermare fino al Quirinale

Redazione

La spinta che manca dai partiti per evitare i rallentamenti di governo 

E’ tremendamente banale, o, peggio, naïf, dire che servono, da parte dei partiti, chiarezza e capacità di assumere impegni. Ma in questo momento ne va della capacità di funzionare e della reputazione del governo di Mario Draghi, cioè del governo più efficiente che potevamo mettere in campo e dotato di una straordinaria credibilità internazionale. Tutto questo potrebbe saltare perché la fase più importante della spinta riformista chiesta al governo, e, per la verità, all’Italia, come completamento degli accordi sul Recovery plan e sul Pnrr, si va a intrecciare, verrebbe da dire drammaticamente, con la scelta del nuovo presidente della Repubblica. Anche il segnale dato con il tuttora mancato invio del testo della legge di Bilancio alle Camere mostra che la capacità realizzativa si sta affievolendo e che un vero canale di dialogo politico tra governo e Parlamento non si è mai aperto.

 

E’ di pochi giorni fa, anticipata da questo giornale, la notizia sulle pressioni per far presto con i provvedimenti in sospeso nei consigli dei ministri. Sembrava ovvio leggervi una specie di fissazione dell’agenda, con le riforme da approvare prima dell’elezione del nuovo presidente. Ma sembrava anche logico aspettarsi, come conseguenza o come premessa, un accordo sul nome per il Quirinale. E, invece, siamo ripiombati nella ritrosia, nel tatticismo, nel rinvio, e vale per tutti, da Enrico Letta a Matteo Salvini. La tattica delle carte coperte, però, efficacissima di solito per la partita sulla presidenza della Repubblica, questa volta non si può usare con l’abituale disinvoltura. Perché se c’è questo governo è grazie a una congiuntura in cui l’azione del Quirinale è stata elemento necessario. Pensare di gestire in modo separato la partita governativa da quella quirinalizia è diventato, semplicemente, impossibile. Quindi, fuori i nomi, e fuori le riforme.

Di più su questi argomenti: