ANSA/CLAUDIO PERI 

editoriali

Il Draghi che manca al Pd

Redazione

Bettini e la fuffa che i dem devono eliminare sul futuro del Quirinale

In una lunga intervista al Corriere, Goffredo Bettini illustra la sua idea di un Pd “arioso, dinamico politicamente, dialogante e unitario” e di una sinistra “plurale” che in particolare nelle elezioni romane si sarebbe espressa in tre tronconi, il Pd, la lista Calenda e i 5 stelle, destinati a confluire. Fin qui tutto bene, soprattutto in una fase in cui è necessario allargare il consenso attorno alla candidatura di Gualtieri. Poi però il ragionamento si fa un po’ più tortuoso: Bettini pensa che “il campo largo del centrosinistra deve essere un’alleanza politica fondata su un compromesso trasparente, non un contenitore confuso all’interno del quale ognuno interdice e appanna le ragioni dell’altro”. Perfetto, ma per questo servono formazioni che si presentano in modo indipendente, in un sistema proporzionale. Bettini lo sa, ma si arrende all’idea che per la proporzionale ci sia “poco spazio” il che è senz’altro vero se il Pd rinuncia senza combattere a sostenerlo.

È però sulla questione dell’elezione di Mario Draghi al Quirinale che il discorso di Bettini diventa indecifrabile. Invita a riflettere su un’ipotesi aleatoria: “la cosa migliore sarebbe che governasse fino al 2023”, cioè che restasse a Palazzo Chigi. Ma la Lega “strapperà” e a quel punto Draghi dovrebbe continuare a governare con una maggioranza più ristretta, “e non mi pare nelle sue corde”. Così “non sarà più a disposizione dell’Italia” e allora forse sarebbe meglio eleggerlo prima al Quirinale? O no? Bettini si limita a “riflettere. Solo riflettere”. Al (troppo) saggio e riflessivo Bettini verrebbe voglia di rispondere con volgarità irriflessiva: “Pd non fare scemenze”. Se continua a girare attorno ai problemi, a sognare un bis di Sergio Mattarella, ad aspettarsi che siano gli errori di Matteo Salvini a risolvere tutto a suo vantaggio, il Pd rischia di restare impantanato e di non giocare la partita del Quirinale in un modo corrispondente al suo crescente ruolo politico.