Gianni Alemanno lascia la Corte di Cassazione dopo la sentenza di assoluzione dall'accusa di corruzione (LaPresse)

Editoriali

Su Alemanno, il solito box a pagina 50

Redazione

Dopo la mafia, cade la corruzione (non i finanziamenti illeciti). Storie di fango   

Lo avevamo scritto qui sul Foglio, due giorni fa, e così alla fine è andata: si può essere accusati di corruzione senza aver individuato né una prova né un corruttore? Evidentemente no. L’ex sindaco di Roma Gianni Alemanno, dopo un calvario giudiziario durato sette anni, è stato assolto in Cassazione dall’accusa di corruzione (il procuratore generale aveva chiesto sei anni di carcere) nell’ambito del procedimento stralcio dell’inchiesta “Mondo di mezzo” (la vecchia “Mafia Capitale”). Alemanno – che nel 2014 venne accusato addirittura di associazione a delinquere di stampo mafioso, accusa poi caduta due anni dopo – ieri ha ricordato il fango ricevuto in questi anni ed è strano che i numerosi segugi che hanno seguito la sua inchiesta non si siano mai accorti di un problema non di poco conto. Che è questo: ma se i giudici in questi anni hanno ravvisato il traffico di influenze, e non la corruzione, per i coimputati di Alemanno, come si poteva sostenere in giudizio la condanna per il reato più grave nei confronti del solo Alemanno?

 

Il sospetto che nei confronti dell’ex sindaco vi sia stato un accanimento è più che legittimo considerando che parte delle accuse contro Alemanno nasceva più da un teorema: l’idea che l’ex sindaco non potesse non sapere ciò che stava facendo un suo ex collaboratore, Franco Panzironi, condannato in via definitiva per traffico di influenze per aver percepito oltre 600 mila euro da Salvatore Buzzi e dai suoi associati. Oggi l’ex sindaco deve fare i conti ancora con due condanne non da poco (traffico di influenze e finanziamento illecito, entrambe confermate dalla Cassazione, che ha disposto un nuovo processo per la rideterminazione della pena: secondo l’accusa, Alemanno ha ricevuto  223 mila euro per compiere atti contrari ai doveri del suo ufficio) ma l’assurdità della vicenda resta: un ex sindaco descritto per anni dalla procura di Roma e dai suoi segugi come un mafioso corruttore non era né mafioso né corruttore. Appuntamento per la notizia, sui giornali che lo hanno infangato, nel solito box a pagina 50.

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