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La richiesta

Non basta un decreto a salvarci dai costi delle rinnovabili. Ci vuole il nucleare

Oscar Giannino

Puntare solamente su eolico e solare comporterebbe prezzi finali alle stelle, che danneggerebbero la crescita italiana e la competitività della nostra manifattura. Un piano per i nuovi impianti nucleari può essere la soluzione più efficiente 

Martedì è giunto l’ok di Bruxelles al cosiddetto decreto Fer 2, il piano pluriennale di sussidi per i diversi tipi di impianti di produzione di energia da fonti rinnovabili caratterizzati da tecnologie oggi non ancora pienamente mature, e costi iniziali molto elevati di esercizio. La reazione delle opposizioni è stata un urlo generalizzato perché i sussidi – entro un tetto di 35,4 miliardi in vent’anni – sono a costo di cittadini e imprese, cioè tariffe aggiuntive in bolletta. Reazione elettoralistica ma infantile: se fossero aiuti di stato diretti, sarebbero comunque a spese del contribuente, cioè tasse aggiuntive, a meno che l’opposizione continui a credere salvifica la crescita del debito pubblico. Lo schema del decreto ha purtroppo ben altri difetti. 

Come sempre ripete Davide Tabarelli, bisogna sempre partire dai numeri del bilancio energetico italiano. Primo: più il prezzo del gas è sceso rispetto ai picchi vertiginosi toccati ad agosto del 2022, più si è aggravato il gap di prezzo elettrico per imprese e famiglie italiane. Se si osservano le diverse borse elettriche europee, a febbraio 2024 il prezzo medio del MWh elettrico è stato di 88 euro in Italia, 61 euro in Germania, 40 in Spagna. Ad aprile in Italia è stato di 87 euro, 28 euro in Francia e 14 euro in Spagna. A maggio quasi 95 euro in Italia, 57 in Germania, 27 in Francia e 30 in Spagna. Siamo a un prezzo doppio rispetto alla media Ue, multiplo rispetto ai nostri più diretti competitor europei. 
Secondo: a fregarci è il folle mix energetico nazionale italiano, figlio di decenni di errori fatti dalla politica. Restiamo il grande paese a maggior intensità di uso del gas per la produzione elettrica. La Francia ha il nucleare, la Germania ha chiuso le sue ultime centrali atomiche ed è ricorsa al carbone, ipersussidiando però la sua manifattura energivora rispetto ai costi impennati dei certificati Ems per le maggiori emissioni. La Spagna ha molta più produzione da rinnovabili di noi. Noi non abbiamo nessuna delle tre cose. 
Terzo: noi ci siamo impegnati a Bruxelles a installare 70 MW di produzione da rinnovabile aggiuntiva entro il 2030, ma gli impianti da eolico e solare sono saliti nell’ultimo biennio a un ritmo più di tre volte inferiore alla media annuale necessaria per quell’obiettivo. Il più della potenza rinnovabile aggiuntiva è venuta da microimpianti. Ma le grandi centrali aggiuntive sono ferme: non s’è aggiunto un solo parco eolico marino oltre a quello appena fuori Taranto, perché grandi impianti in acque profonde hanno costi di realizzazione e di esercizio elevatissimi, per rientrare dagli investimenti. 
Quarto: i tipi di impianti da energia rinnovabile da sussidiare indicati nel Fer 2 sono, oltre a una modesta quota nel geotermico, soprattutto i fotovoltaici ed eolici appunto flottanti sulle acque. Per i quali la quota di incentivo è comunque parametrata su prezzi a MWh molto ma molto più elevati dei prezzi medi oggi praticati negli altri paesi Ue. La forbice per tipo di impianto e potenza installata va dai 75 euro a MWh fino ai 300 euro.

Risultato finale: possiamo anche credere, forse, di realizzare la grande svolta cara a molti puntando solo su eolico e solare, ma con costi e prezzi finali alle stelle. Mentre per non spiazzare crescita italiana e competitività della nostra manifattura servono prezzi molto più bassi. 
Conclusione: nel decreto Fer 2 bisogna introdurre di corsa il nucleare di nuova generazione. E’ la richiesta centrale della Confindustria del neopresidente Emanuele Orsini, ed è stata appena sancita nel documento congiunto firmato da Confindustria e Medef, la Confindustria francese, dando il via alla piena disponibilità a cooperare tra imprese francesi del settore e le 100 imprese italiane che hanno continuato a fare ricerca e a produrre componenti per il nucleare di nuova generazione, che è a minor impatto sui territori, stante che la taglia di reattori modulari è fino a 300 MW e non di GW come le enormi centrali di seconda e terza generazione, e molto più sicuro quanto a controllo e decomissioning del combustibile fissile. Le imprese italiane sono pronte a investire di tasca propria, per ottenere bollette più basse.

Ma per farlo bisogna muoversi di corsa: va predisposto un nuovo quadro normativo e regolatorio, per iniziare subito il percorso necessario alla pianificazione, validazione, realizzazione e messa in rete di  impianti nucleari di nuova generazione. Se no, resteremo appesi a un mix energetico magari con molte più rinnovabili, ma a prezzi finali troppo elevati. 

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