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L'analisi

Il governo coltiva il consenso degli agricoltori a colpi di sconti fiscali

Marco Leonardi e Leonzio Rizzo

L'esecutivo modifica la tassazione delle imprese agricole, ampliando i benefici connessi alle società del settore: queste misure, se attuate, potrebbero accentuare l'asimmetria fiscale già presente, sollevando dubbi sull'equità e sulla coerenza delle politiche fiscali nel paese 

La tassazione delle imprese agricole ha sempre ricevuto un trattamento di favore. Ai fini Irpef, per gli agricoltori la base imponibile non è determinata dal reddito effettivamente conseguito nell’anno di riferimento, ma dai redditi dominicali e agrari definiti con il sistema delle rendite catastali. Notoriamente le tabelle che definiscono questi redditi sono datate e, quindi, danno luogo a basi imponibili basse. Tanto è vero che la base imponibile del settore agricolo risulta pari a circa il 10 per cento del margine operativo lordo calcolato dall’Istat e il gettito è molto più basso di quello che si otterrebbe se il comparto agricolo fosse tassato come tutti gli altri. Il costo per lo stato di questo trattamento di favore si aggira attorno ai 3,5 miliardi. Pace, è così da anni, ogni paese concede dei benefici a categorie particolari, ma ora si vogliono addirittura estendere quei benefici.
 

Nel decreto legge per il riordino delle imposte dirette approvato in Consiglio dei ministri a fine aprile, all’articolo 1 campeggia una norma che estende la possibilità di fruire di una tassazione forfettaria alle attività connesse (la trasformazione, la commercializzazione etc.), ma eccedenti il limite che le farebbe rientrare nella definizione di attività agricola. A oggi, la legge limita la tassazione forfettaria al solo imprenditore agricolo individuale, determinando l’imponibile con una forchetta tra il 5 e il 25 per cento del valore delle vendite. Il decreto estende questa possibilità anche a società di persone, società a responsabilità limitata e società cooperative che rivestono la qualifica di società agricola. Prima per questi soggetti le attività connesse eccedenti erano tassate come il reddito di una qualunque altra impresa.
 

Si noti che tra le modifiche introdotte, inoltre, c’è la possibilità di tassare in base al reddito agrario le società agricole che effettuano le cosiddette coltivazioni verticali. Una modalità di coltivazione innovativa e sicuramente meritevole, ma anche particolarmente redditizia, visto che nell’ultimo anno gli investimenti (in genere a opera di grandi gruppi) nel mondo sono cresciuti del 21 per cento (2,85 miliardi) e in Italia sono cresciuti del 95 per cento (110 milioni). Si coltiva su aree industriali adibendo edifici a più piani a coltivazioni con sistemi molto sofisticati. Si tratta di un settore di fatto appannaggio di importanti entità societarie, fondi di private equity e venture capital: sono in genere società che fatturano centinaia di milioni di euro. Secondo le novità del decreto, questi gruppi potrebbero svolgere la loro attività tramite società agrarie, pagando parte delle loro imposte in base al reddito agrario o catastale e parte di ciò che non può rientrare in quest’ultimo (attività connesse eccedenti) con una estremamente favorevole tassazione forfettaria su una base imponibile pari al 25 per cento del valore delle vendite.
 

Tutto ciò è avvenuto dopo che il governo, in seguito alle proteste degli agricoltori, ha dovuto parzialmente rinnovare l’esenzione Irpef che aveva detto di voler cancellare. L’esenzione totale ora vige chi ha un reddito imponibile, calcolato sulla base dei redditi dominicali e agrari, inferiore a 10 mila euro. L’Irpef viene di fatto pagata da non più del 10 per cento dei soggetti potenzialmente interessati. Non contenti, evidentemente gli agricoltori sono riusciti a ottenere indietro, e con gli interessi, il poco che era rimasto ancora da pagare. Le associazioni di categoria fanno il loro lavoro di lobbying ma ci si domanda come mai il governo non abbia trovato 100 milioni per detassare le tredicesime per i lavoratori dipendenti ed è stato costretto rinviare tutto al 2025, ma sia riuscito a trovare in febbraio 220 milioni per consentire la parziale esenzione dall’Irpef, e ora riesca a trovare le risorse (quante?) per garantire alle società agricole una tassazione di favore su attività a volte molto poco agricole.
 

Il sistema fiscale italiano è già assolutamente asimmetrico e questo ultimo tassello rischia di produrre un’ulteriore ingiustizia. L’agricoltura produce un valore aggiunto pari all’1,3 per cento del totale e versa nelle casse dello stato lo 0,24 per cento del totale di Irap, Ires e Irpef. Tra i lavoratori dipendenti più del 63 per cento di tutta l’irpef è concentrato su soltanto 5,8 milioni di lavoratori che dichiarano più di 35 mila euro l’anno. È tollerabile un sistema fiscale che si ostina a favorire delle nicchie e penalizzare i soliti sfortunati? Ormai abbiamo imboccato la strada verso un sistema arlecchino che viola palesemente il principio di equità orizzontale: soggetti che guadagnano lo stesso ammontare di reddito devono essere trattati in modo uguale a prescindere dalla natura dei loro redditi.
 

In un decreto parallelo ad hoc il governo ha acconsentito a un’altra richiesta delle organizzazioni degli agricoltori sui pannelli solari. Quella norma era già stata proposta dalle associazioni di categoria e rifiutata da diversi governi in precedenza

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