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L'editoriale del direttore

Il gran mistero delle Borse, con numeri clamorosi che vanno spiegati

Claudio Cerasa

La Fed spaventa, ma sul lungo periodo è in corso un fenomeno che riguarda i mercati azionari, che oggi valgono più del pil mondiale. Perché il disordine non fa più paura? C’entra l’ottimismo. Vale anche per l’Italia. Pazza indagine

La regola è sempre la stessa, ma i tempi sono cambiati e il risultato è dunque sorprendente: più il mondo sembra andare a schifìo, come si dice, più i mercati, sul lungo periodo, sembrano essere felici. Perché? C’è stato un tempo non troppo remoto durante il quale la regola era chiara: se in giro per il mondo vi è un evento capace di mettere in discussione l’ordine globale, tu non sai quando, non sai come, non sai perché, ma sai che prima o poi i mercati ne risentiranno e sai che in Borsa gli azionisti ti faranno vedere i sorci verdi. È stato così per molti anni – e tutti ricorderanno cosa è successo all’indomani dell’11 settembre del 2001. Ma la novità clamorosa degli ultimi tempi – ieri le borse europee, come quelle americane, hanno fatto segnare un calo per i timori di un rinvio dei tagli dei tassi da parte della Fed, ma è una nuvola passeggera – è che l’occidente libero, democratico e morbidamente immerso nel mercato ha trovato improvvisamente un equilibrio nuovo che ha portato i mercati azionari a essere ottimisti sul futuro anche in presenza di eventi a dir poco destabilizzanti.
 

C’è una pandemia? I mercati crescono. C’è una crisi energetica? I mercati crescono. C’è una guerra nel cuore dell’Europa? I mercati crescono. C’è una guerra in medio oriente? I mercati crescono. C’è il rischio che i terroristi strozzino uno dei punti nevralgici del commercio globale? I mercati crescono. C’è il debito mondiale che sale? Niente: i mercati crescono e festeggiano. Perché? Si potrebbe pensare che tutto questo sia solo un effetto ottico, un’impressione dettata da qualche fatto episodico e non rilevante. Ma la realtà dei numeri, in verità, è ancora più interessante rispetto alla realtà percepita. Prendiamo gli ultimi cinque anni. Nel 2018 il pil mondiale valeva circa 85 trilioni di dollari, oggi vale 105 trilioni di dollari. Crescita: 23,5 per cento.
 

Nello stesso periodo, lo sviluppo dei mercati azionari – almeno quelli occidentali, l’indice di Shanghai, negli ultimi cinque anni, è sceso del 3,56 per cento – è stato decisamente più forte. La capitalizzazione complessiva dei mercati azionari era di circa 76 trilioni di dollari nel 2018. Alla fine del 2023 il suo valore è arrivato a superare il pil mondiale toccando quota 110 trilioni di dollari. Crescita: 44,7 per cento, il doppio di quanto è cresciuto il pil. Non siete soddisfatti di questi numeri? Eccone altri. Negli ultimi cinque anni, il Nasdaq, negli Stati Uniti, è salito del 110 per cento. L’indice Nikkei 225, in Giappone, è salito del 92 per cento. L’indice Dax 30, in Germania, è salito del 60 per cento. L’indice S&P 500, il più importante indice azionario statunitense, è salito dell’84 per cento. L’indice Ftse Mib, in Italia, è salito del 63 per cento. Record, su record, su record. Perché? È il mercato che non è più un termometro affidabile o è la realtà che viene letta dai mercati in modo diverso rispetto ai tempi del pessimismo universale? La verità, forse, è più vicina alla seconda che alla prima ipotesi.
 

L’instabilità è diventata una nuova forma di stabilità, i paesi affidabili sono quelli che dimostrano di aver trovato un modo efficace di governare l’instabilità, l’incertezza è divenuta parte della nostra quotidianità e la capacità mostrata dai paesi occidentali di trovare soluzioni rapide a problemi complessi ha contribuito a creare una forma speciale di ottimismo, tutto basato sulla convinzione che le cose che vanno male non andranno così male come si teme e le cose che non funzionano verranno rimesse a posto prima di quanto si pensi. Certo, non c’è dubbio: negli ultimi anni i mercati azionari sono stati influenzati positivamente dalla crescita record degli Stati Uniti, dall’immissione di denaro record che vi è stata nell’Unione europea e negli ultimi mesi la crescita delle borse è stata favorita anche dall’ottimismo mostrato dai mercati relativo all’imminente abbassamento dei tassi. Non c’è dubbio, poi, che i valori dei mercati azionari mondiali, ancora oggi, siano legati ai numeri da record fatti segnare dalle cosiddette “big seven”, Alphabet, la capogruppo di Google, Amazon, Apple, Meta, Microsoft, Nvidia e Tesla, il cui valore in Borsa, nel 2023, è salito del 65 per cento, il doppio dell’indice S&P 500 di cui fanno parte, il cui valore oggi corrisponde al prodotto interno lordo di Germania, Giappone e India (5 mila miliardi di euro). Ma il sorpasso da parte del mercato azionario su quello, per così dire, reale è lì che ci mostra un mondo nuovo, affascinante, incoraggiante, stimolante, che manda segnali nuovi alla classe politica occidentale e che fissa sul terreno da gioco alcune priorità interessanti. Si è affidabili quando si dimostra di saper governare le instabilità. Si è affidabili quando si dimostra di sapere come offrire risposte concrete a problemi complessi. Si è affidabili quando si dimostra di voler governare non sfidando i mercati ma assecondando il loro ottimismo. Vale quando si ragiona sul macro, come si dice, e vale anche quando si ragiona sul micro.
 

E se dovessimo concentrare per un istante la nostra attenzione sull’Italia non faremmo fatica a dire che i mercati premiano il nostro paese non tanto per quello che fa il governo, che per fortuna è poco, ma soprattutto per quello che non fa, che per fortuna è tanto. Non aver fatto gran parte di ciò che la destra aveva promesso alle elezioni è ciò che ha offerto ai mercati, in Italia, ragioni per avere fiducia nel futuro. Gli si può dar torto? Viva i mercati, che ci regalano ottimismo, che ci ricordano le potenzialità dell’occidente e che ci aiutano a capire che quando un paese è guidato da idee pericolose la migliore garanzia per il futuro è ascoltare i sussulti delle borse e mostrare ancora a lungo di non voler fare quel che si era promesso di fare.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.