La sede di Cassa depositi e prestiti - foto Getty Images

Magazine

La Cassa depositi e prestiti non è una fabbrica dei sogni

Stefano Cingolani

Cdp di qua, Cdp di là, tutti la vogliono, molti la chiedono, pochi sanno davvero che cosa possa e debba fare. Sindacati, politici, manager in primis. Intanto la partita su Tim è in bilico

Vacilla Tim in borsa sotto gli schiaffi degli speculatori? Intervenga la Cassa depositi e prestiti, chiedono i sindacati. Con il suo pacchetto del 9,8 per cento non è chiaro che cosa possa fare se non diventare lo strumento per rinazionalizzare Telecom Italia. Francesco Milleri, amministratore delegato di Essilor Luxottica, l’uomo che gestisce l’eredità finanziaria e industriale di Leonardo Del Vecchio, in una intervista a Repubblica invita Cdp a entrare nel capitale del gruppo degli occhiali quotato alla Borsa di Parigi, nel quale lo stato francese è presente dal 2021 attraverso il fondo Lac d’Argent di Bpi France, la banca controllata dalla  Caisse des dépôts et consignations. Bilanciare i francesi è quel che sia il segretario della Cgil Maurizio Landini sia il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso vorrebbero accadesse nel gruppo Stellantis, dove la banca di stato possiede il 9 per cento dei diritti di voto e la famiglia Peugeot un altro 7-8 per cento. John Elkann, primo azionista con il 14 per cento, ha risposto no grazie, ma la partita dell’auto resta aperta. E non va certo dimenticata l’Ilva, come vedremo. Per non parlare dei grandi gruppi che Cdp sta tirando fuori dalla crisi: si tratta di Saipem, Ansaldo energia, Trevi, Valvitalia, non proprio piccole aziende. Cdp di qua, Cdp di là, tutti la vogliono, molti la chiedono, pochi sanno davvero che cosa possa e debba fare
 

Il dilemma si trascina dall’inizio, fin da quando nel 1850 venne istituita come Cassa del Piemonte sul modello francese, poi riformata da Cavour e alimentata grazie a Quintino Sella con i libretti che raccoglievano il risparmio postale. Leva finanziaria per opere pubbliche di interesse strategico (a quel tempo c’erano le ferrovie, un secolo dopo le autostrade, oggi il digitale e l’intelligenza artificiale) o grande ombrello per accogliere quel che non è in grado di stare sul mercato? Questo dualismo non s’è mai risolto. Molti sostengono che è la sua forza, Paolo Bricco ha scritto di “un capitale dinamico e paziente”, altri ritengono che debba essere un aggregatore per intervenire nei settori strategici o dove il mercato non funziona. Ma nei momenti chiave della storia, prevale sempre l’ombrello con il rischio di snaturare questa banca anomala, o meglio questa “istituzione finanziaria e monetaria”, come l’ha classificata la Bce. Nel 1930 e 1931 fu Cdp a sottoscrivere il capitale dell’Iri e dell’Imi, i due grandi enti di salvataggio dalla grande crisi, creati da Beneduce. Non siamo a questo punto, tuttavia la grande transizione che sta cambiando in modo tumultuoso l’economia moltiplica le richieste di aiuto.
 

La Cassa fa gola con il suo attivo di 469 miliardi di euro, un patrimonio di circa 40 miliardi, un utile di 1,8 miliardi (ultimi dati ufficiali del primo semestre 2023). Ogni pretendente o aspirante tale rimette in gioco la missione ridefinita nel 2003 quando Cdp è diventata una società per azioni controllata per il 70 per cento (salito poi all’83 per cento) dal Tesoro e per il resto da 65 fondazioni di origine bancaria. Questa scelta compiuta da Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, e da Giuseppe Guzzetti, leader riconosciuto delle fondazioni, ha consentito di far uscire dal perimetro del debito pubblico oltre 400 miliardi di euro. La cugina francese Cdc viene alimentata direttamente con denaro dei contribuenti, mentre la tedesca KfW (fondata per gestire i fondi del piano Marshall) si finanzia solo sul mercato. Cdp invece accede a risorse private, siano esse i risparmi postali, le obbligazioni, i dividendi. Lo stato fa da garante di un difficile equilibrio, perché ogni desiderio di usare la Cassa come longa manus dei governi la spinge a cambiare natura. Per capire che cos’è e come funziona occorre una rapida radiografia.
 

Con interventi per oltre 40 miliardi di euro, che hanno sostenuto investimenti pari a circa 112 miliardi, Cdp ha generato un valore aggiunto pari all’1,5 per cento del prodotto lordo, contribuendo alla creazione o al mantenimento di 410.000 posti di lavoro. Due italiani su tre vivono in comuni finanziati da interventi della Cassa; circa 50.000 sono le imprese servite, con un’attenzione particolare a quelle impegnate nell’ambito della transizione verde e digitale. Cdp Equity è la società di partecipazioni, non è esattamente un fondo di private equity, ma un investitore di lungo periodo sia direttamente sia indirettamente. E’ azionista di maggioranza del Fondo italiano d’investimento, un “fondo di fondi” per sostenere la crescita dell’ecosistema finanziario italiano, gestisce direttamente fondi specialistici per alimentare le piccole e medie imprese operanti nelle filiere strategiche per il paese. Con oltre 600 società in portafoglio, è il più grande investitore istituzionale di Private equity in Italia. Anche grazie ai suoi interventi, negli ultimi anni sono state create nuove realtà produttive come il Gruppo Florence nella moda o Maticmind nella cyber security e nella gestione dei sistemi. La holding tiene in cassaforte i pacchetti di 23 società: Fincantieri, Autostrade, Ansaldo energia, Webuild, Open Fiber, Trevi, Hotelturist, il Polo strategico nazionale, solo per citare le principali. Terna, Snam, Italgas sono controllate dalla società delle reti dove la cinese State Grid ha il 35 per cento. Il gruppo Cdp poi controlla direttamente l’Eni con il 26 per cento e Poste con il 35. Vista così sembra davvero una nuova Iri con una estensione ampia, persino eccessiva. Scannapieco, arrivato nel 2021 dalla Banca europea per gli investimenti, ha cercato di mettere ordine e fare pulizia. Per le partecipazioni non strategiche si è applicato il principio di rotazione del capitale, cioè uscire una volta raggiunti gli obiettivi. Sono state cedute quote in Kedrion, Fsi sgr, Quattror sgr, Inalca, Bonifiche Ferraresi, Rocco Forte Hotel, dal 2022 è rientrato così oltre un miliardo di euro per avviare investimenti in settori tecnologici e stimolare la crescita e l’aggregazione di aziende.
 

Razionalizzare è stata la prima mossa accompagnata dall’aumento del capitale “libero”, cioè quello disponibile per operazioni finanziarie e industriali. Ciò è avvenuto in primo luogo con una prudente distribuzione dei dividendi, versando ogni anno al Tesoro e alle fondazioni il 55 per cento e non l’intero utile, con il pieno accordo degli azionisti, si tiene a precisare. Alla fine del precedente piano industriale, invece dei 3,5 miliardi di euro attesi il free capital era sceso a 300 milioni in seguito alle acquisizioni a raffica e pagando al Tesoro e alle fondazioni più degli anni precedenti. Le fonti di finanziamento sono state diversificate emettendo obbligazioni di diverso tipo per 5,4 miliardi di euro e una domanda totale di oltre 16 miliardi di euro. Con gli Yankee bond l’anno scorso la Cassa è entrata per la prima volta sul mercato dei capitali americano raccogliendo un miliardo di dollari. Il vasto patrimonio immobiliare è concentrato in Fintecna e in Cdp Real Asset, destinata a sostenere oltre 10 miliardi di investimenti sul territorio. Sono stati ceduti l’Ospedale a Mare di Venezia, il Palazzo Vivarelli Colonna a Firenze, la Caserma La Marmora a Torino, mentre è stato scelto di valorizzare altre proprietà come a Roma l’ex Caserma Guido Reni, che ospiterà la Città della Scienza, le Torri dell’Eur, prossima sede delle Ferrovie, e l’ex Poligrafico dello stato dove si trasferirà l’intera Cassa che oggi occupa il palazzo di via Goito in faccia al ministero dell’Economia, dislocato nel fortilizio di palazzo Sella. Tra i mille impegni “strategici” c’è anche il piano Mattei al quale partecipa Cdp con il Fondo clima, sono 4 miliardi di euro, il 70 per cento in Africa.
 

Alla holding di partecipazioni fanno capo i dossier più caldi, quindi sono in mano a Francesco Mele, 55 anni, amministratore delegato di Cdp Equity dove è arrivato dopo una lunga esperienza bancaria cominciata in Goldman Sachs, e a Fabio Barchiesi, 41 anni, direttore sviluppo e governance della holding di partecipazioni, responsabile di seguire anche il piano strategico della Cassa. Saipem con il bilancio record dello scorso anno sembra arrivata alla svolta, sono aumentati gli ordini per le infrastrutture di petrolio e gas, il titolo in borsa è salito del 30 per cento da inizio anno. Ansaldo Energia ha lavori per tutto l’anno, ha stipulato un accordo con Enel per centrali nucleari di nuova generazione e un promettente contratto con il Kazakistan. Ma non sarà facile risanare il bilancio: il 2022 si è chiuso in rosso per mezzo miliardo di euro e nel giugno scorso ha aumentato il capitale con 580 milioni per coprire la perdita. C’è da rimboccarsi le maniche. In Valvitalia (valvole, gas e sistemi antincendio) travolta da pandemia e inflazione (nel 2022 una perdita di 23 milioni su ricavi per 113 milioni di euro) Cdp è entrata a gennaio scommettendo sul rilancio di un’azienda multinazionale in un settore chiave. In Trevi si tratta non solo di ripianare le perdite, ma di sostenere una società di costruzioni. Oggi le grandi opere (dal Pnrr al ponte sullo stretto di Messina) sono quasi tutte nei cantieri di Webuild dove Cdp equity è secondo azionista con il suo 16,47 per cento, dopo Salini che ha il 39,66.
 

Il patto di sindacato è stato rinnovato per altri tre anni tenendo conto degli enormi impegni del gruppo. Ce la farà da solo? Oppure, visto che il governo Meloni è orientato a tener fuori gli stranieri, non c’è bisogno di un secondo campione nazionale? Un’ipotesi per ora solo sulla carta è mettere insieme Amplia controllata da Autostrade per l’Italia con Itinera e Astm, le due società di costruzioni del gruppo Gavio che è anche il secondo operatore autostradale italiano e uno dei maggiori al mondo. E qui si apre una finestra dalla quale si intravede la possibilità di un matrimonio in grande tra Aspi e Gavio, un progetto proposto da JP Morgan e arrivato a palazzo Chigi. Fonti da Cdp sostengono di non  aver mai “affrontato” la discussione di un simile piano. In ogni caso, la società Autostrade nei prossimi due anni ha ben altre priorità, poi si vedrà magari anche con una quotazione in borsa. Servono investimenti attorno agli 80 miliardi di euro per ammodernare e potenziare la rete; si calcola che almeno 30 sono in carico all’Aspi della quale Cdp reti ha il 51 per cento. Somme ingenti che oggi non ci sono neppure sulla carta. Tanto meno se il governo non vuole aumentare le tariffe. L’intero regime delle concessioni andrebbe rivisto, intanto i costi delle opere sono triplicati. Vasto programma, vastissimo.
 

La Cassa viene sollecitata dalla politica ad occuparsi dell’Ilva. Per ora non è cosa. E se davvero ci fosse una cordata italiana con Arvedi e Duferco, magari con l’ucraino Metinvest che sbarca anche a Piombino? L’acciaieria a caldo di Taranto non rientra nella strategia di via Goito, sarebbe una forzatura. Intanto è caduta anche la valanga Tim che aggiunge un nuovo coup de théâtre allo psicodramma telefonico. La Cassa, secondo azionista con il 9,8 per cento, osserva con preoccupazione quel che sta accadendo. Dopo il crollo in borsa Telecom Italia vale il 25 per cento in meno e questo getta un’ombra sullo scorporo della rete, progetto che per Cdp resta valido perché giudicato nell’interesse del paese. L’accordo con Kkr era stato stipulato in base a un valore di Tim superiore, il fondo americano potrebbe avere l’intenzione di rinegoziarlo. Mentre nessuno conosce esattamente come reagirà il primo azionista, il gruppo Vivendi in mano a Vincent Bolloré. Tutto si gioca di qui all’assemblea del prossimo 23 aprile. Ciò si riverbera necessariamente sulla partita che per la Cassa è prioritaria: sistemare Open Fiber. Sono in ballo investimenti per 13 miliardi di euro, ma le opere vanno a rilento impantanate nella giungla dei divieti e dei permessi, ostacolate dalla mancanza di un catasto aggiornato, con in più l’incognita di non sapere se ci sarà e quale sarà il ritorno economico dell’investimento in fibra ottica là dove non ci sono aree industriali e l’utilizzo della rete è nell’insieme modesto, spesso sporadico. Senza dimenticare che i bandi lanciati nel 2019 non sono più attuali, non solo per l’aumento dei costi, ma anche per l’estensione nella posa dei cavi. Un’incertezza che ha spinto le banche a sospendere i prestiti e ad aprire un complicato negoziato attorno a un pacchetto di oltre 8 miliardi. I finanziatori non si fidano, vogliono capire se e quando ci sarà la rete unica; si parlava del 2025, ma ora tutto è in bilico.
 

Viene considerata una pura suggestione la frase di Milleri, secondo il quale Essilor Luxottica accoglierebbe con favore lo stato italiano come nuovo azionista, se si comportasse come un investitore di supporto simile allo stato francese presente attraverso la sua banca Bpi che svolge lo stesso ruolo di Cdp equity. Si ripropone la questione sollevata nel caso Stellantis alla quale ha fatto riferimento lo stesso amministratore delegato del gruppo degli occhiali: “Seguiamo con interesse il dibattito su un’altra azienda italo-francese, dove si discute sull’eventuale ingresso dello stato italiano”, ha detto, e poi ha concluso: “Credo che le decisioni di un paese debbano essere mirate a favorirne lo sviluppo, non a difendere la nazionalità delle sue imprese”. Parole sante, ma la tentazione di portare la Cassa nel fronte sovranista esiste, anzi aumenta ora che s’avvicina la scadenza triennale dei vertici e il Palazzo si agita attorno alle sorti del presidente Giovanni Gorno Tempini e dell’amministratore delegato Dario Scannapieco (voci insistenti parlano di Matteo Del Fante amministratore delegato di Poste italiane, altre di un rinvio a dopo le elezioni europee). Lo statuto parla chiaro: Cdp deve impiegare le sue risorse in imprese sostenibili con chiare prospettive di generare utili. Può intervenire in aziende solo se sono in difficoltà temporanee, non per creare zombie. Il piano del 2022 ha individuato come priorità le infrastrutture e le reti, dieci filiere legate alla transizione, società da far crescere in un paese dove il mercato dei capitali resta piccolo e asfittico, grandi imprese da sostenere per aumentare l’autonomia strategica. Gli altri sono sogni. Ma, come dice la canzone, i sogni son desideri.

Di più su questi argomenti: