Partecipate

La carta di Salvini per Cdp è il banchiere Daffina. Meloni si oppone

Carmelo Caruso

Il leader della Lega insieme all'ad di Enel, Cattaneo, ha incontrato il banchiere Daffina, capo di Rothschild Italia. La premier vuole la riconferma di Scannapieco

Meloni ha il potere, Salvini un banchiere. La premier sa chi è il nuovo grande amico del suo vice? Sta per scadere, ad aprile, il mandato di Dario Scannapieco come ad di Cdp e il segretario della Lega ha ora un nome per sostituirlo. Vuole replicare lo schema Enel, indicare un ad che, come Flavio Cattaneo, Meloni avrebbe difficoltà a bocciare. La nomina cade prima delle europee a rapporti di forza ancora invariati. Pochi giorni prima di Natale, a Roma, c’è stato un incontro tra Salvini e Cattaneo, favorito dal presidente del Senato,  Ignazio La Russa. Sulla porta c’era un invitato d’onore. Era il “banchiere della gioventù”, ex militante del Fuan, Alessandro Daffina, capo di Rothschild Italia. E’ lui  la “carta matta” di Salvini.


Sono rimaste due grandi partecipate di stato, due partecipate su cui ancora Salvini può dire la sua. La prima è Cdp, la seconda è Ferrovie. L’ad di Cdp è Scannapieco, ex direttore generale del Tesoro, già vicepresidente della Bei, che ha lavorato con Mario Draghi suo amico. L’ad di Ferrovie è Luigi Ferraris. Il Foglio aveva già scritto sia di Cdp sia di Ferrovie e raccontato le intenzioni di Meloni. Una adesso è cambiata. Per Ferrovie la premier ha sempre pensato, e pensa, che un manager come Ferraris sia la figura migliore per gestire la privatizzazione. Su Cdp c’è una novità. Vuole conservare. L’idea iniziale di sostituire Scannapieco è tramontata. Lo conferma, alla Camera, chi è vicino al sottosegretario Fazzolari: “Su Cdp, a oggi, l’intenzione è confermare Scannapieco”. Si ripeterebbe quanto accaduto, con successo, in Poste ed Eni. La nomina spetta a Meloni ma la deve concertare con il Mef, con il suo ministro Giancarlo Giorgetti, e con gli alleati. Le partecipate, oltre a fare cassa, attraverso la cessione di quote, sono  aziende che permettono l’avvio del Piano Mattei garantendo oltre 5 miliardi e mezzo di investimenti in Africa. Scannapieco offrirebbe a Meloni continuità e lealtà. Ma cosa resta a Salvini? A dicembre, prima  delle feste, si è mosso, in anticipo, e ha incontrato il suo “candidato” da opporre a Scannapieco. Lo ha fatto insieme a Flavio Cattaneo, ad di Enel. Al momento il più grande   successo di Salvini rimane infatti la nomina di Cattaneo, una nomina nata per un incrocio di circostanze e di simpatie. Era aprile e Salvini strappava per Cattaneo, e per la Lega, la guida di Enel. Un arguto Bruno Tabacci, in Transatlantico, commentava con queste parole l’intuizione: “Cattaneo di Salvini? Ma Cattaneo non è di Salvini, è della Ferilli!”. Per fortuna di Salvini, la compagna Francesca Verdini è amica di Ferilli. Il resto lo fa Cattaneo che è Cattaneo, ex dg della Rai, ad di Terna, Telecom e Italo. Quando Salvini era in difficoltà, quando tutti davano per fatta la nomina dell’ex ad di Terna, Donnarumma, a capo di Enel, il leader della Lega, d’intesa con Gianni Letta e lo scomparso Silvio  Berlusconi, scompaginò la partita delle nomine perché, diceva rivolgendosi a Meloni, “vediamo se ha  il coraggio di dire no a uno  come Cattaneo”. E infatti, Meloni non lo ha detto. Caddero teste. Raccontano che una di queste ebbe  il coraggio di presentarsi da Fazzolari, a Palazzo Chigi,  lamentando la carriera rovinata per sentirsi rispondere da Fazzolari: “Mi perdoni, ma lei quanto ha guadagnato finora? Sa quanto guadagna un sottosegretario, un premier, che prende decisioni che hanno rilevanza nazionale? Se conosce la risposta sa pure che la nostra conversazione è finita”. Oltre a Cattaneo, venne nominato presidente di Enel, Paolo Scaroni. Salvini è ora convinto di avere trovato un altro Cattaneo in Daffina, uno che Meloni conosce come lo conosce il suo partito. Daffina è oggi a capo di Rothschild italia, la banca d’investimenti dove ha lavorato il presidente francese Macron, ma in passato è stato vicino a Gianfranco Fini. Al governo ha una sponda  con La Russa. Da  ragazzo ha militato nel Fronte nazionale della gioventù. Perché Salvini vuole sostenerlo? Perché ha bisogno, ripete, di un “altro manager nelle partecipate” e perché l’operazione Daffina, direbbe Arianna Meloni, è una classica azione per “far saltare i nervi”. A destra si fa ormai una distinzione tra quella vecchia destra, quella di Fini, La Russa, e la nuova, quella di Meloni e Fazzolari. Daffina è più vicino alla prima. Il suo nome compare a pagina 64 del libro di Bisignani-Madron “I potenti al tempo di Giorgia”. Daffina, in quel libro, viene collegato a Marcello De Angelis, ex direttore del Secolo, ex responsabile della comunicazione del governatore Rocca, di cui Daffina sarebbe “amico”. Salvini sta in pratica scegliendo l’omeopatia: vuole combattere Meloni con una parte antica di Meloni. Se Salvini, per la guida di Cdp, dovesse farle il nome di Daffina, un banchiere che lavora Rothschild, di destra, Meloni che fa? E’ certa di poter rispondere che un amico di Draghi vale più di un fratello  del Fuan?

Carmelo Caruso

  • Carmelo Caruso
  • Carmelo Caruso, giornalista a Palermo, Milano, Roma. Ha iniziato a La Repubblica. Oggi lavora al Foglio