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Competere con Stati Uniti e Cina sul mercato dei dati si può. Orizzonti europei

Stefano Firpo e Valeria Falce

Costruire un solido mercato per la condivisione aperta delle informazioni, superando l’attuale far west e investendo in infrastrutture di calcolo. Così l’Europa può essere competitiva con le grandi piattaforme tecnologiche americane e cinesi

Nel 2022 il valore del mercato europeo dei dati ha raggiunto i 73 miliardi di euro, con una crescita del 13 per cento rispetto al 2021. Si tratta del mercato che raggruppa soprattutto i dati finanziari, i dati della salute, i dati industriali e Iot. Il mercato italiano ha un valore di quasi 7 miliardi e una crescita del 12 per cento in un anno. Germania e Francia mostravano rispettivamente valori di mercato di oltre 20 e 12 miliardi.

La tendenza sembra incoraggiante. La “nota” dolente è che lo sfruttamento dei dati continua a essere insufficiente per realizzare la transizione digitale facendo leva sulle nuove tecnologie che aiutano a creare valore coi dati, fra tutte l’intelligenza artificiale. Il divario tecnologico con gli Stati Uniti e la Cina si sta allargando anche per la loro maggiore attenzione e capacità di estrarre valore dall’economia dei dati. Lo ha giustamente ricordato Mario Draghi in occasione dell’ultimo vertice dell’Ecofin.

Gli ostacoli non mancano: pochi investimenti per lo sviluppo di modelli di business innovativi, assenza di un grande motore di ricerca europeo e di un forte operatore di infrastrutture cloud, scarsa disponibilità di infrastrutture di supercomputing adeguate alla condivisione di dati e al loro utilizzo per il training di sistemi di IA; carenza di standard e regole tecniche comuni su interoperabilità e portabilità dei dati; diffidenza e mancanza di cultura in materia di condivisione dei dati, deficit di competenze. Manca soprattutto una visione strategica per comprendere il valore dei dati, di sfruttarli economicamente e saperli utilizzare rispetto alle tante applicazioni che schiudono.
 
Una spinta (tutt’altro che) gentile per cambiare rotta è offerta dalla strategia europea che con una serie di iniziative si preoccupa non solo di stanziare investimenti poderosi per start up innovative e fabbriche di intelligenza artificiale, ma anche di definire regole e linee di indirizzo capaci di sviluppare appieno il mercato europeo dei dati e i servizi di brokeraggio dei dati. 
 
In particolare, sul fronte giuridico, l’Europa è intervenuta adottando due distinti regolamenti (Data Governance Act e Data Act) e sta per pubblicare l’AI Act con l’obiettivo di iniettare fiducia nel mercato dei dati quale leva per favorire lo sviluppo dell’intelligenza artificiale in Europa e la competitività delle imprese.
 
I dati personali e commerciali (detenuti dagli enti) pubblici possono essere volontariamente condivisi con terzi che si propongano finalità di interesse pubblico, mentre i dati prodotti da sensori e nell’utilizzo prodotti e servizi smart, devono essere condivisi con gli utilizzatori che contribuiscono in maniera determinante alla loro creazione e questi a loro volta possono sfruttarli economicamente direttamente o più verosimilmente tramite servizi di data management di terzi.
 
A facilitare l’incontro tra domanda e offerta del mercato contribuisce l’intermediario dei dati, che, per regola europea, può essere soggetto pubblico o privato, europeo o anche extra europeo e che, in qualità di garante del mercato, deve operare come soggetto terzo e neutrale. 
 
Su di lui ricadono oneri rilevanti: garantire l’interoperabilità all’interno di un settore e tra settori diversi al fine di assicurare il corretto funzionamento del mercato dei dati; proteggere i dati personali attraverso cifratura e anonimizzazione; garantire il rispetto di clausole eque e non discriminatorie nei rapporti contrattuali di scambio dei dati e predisporre procedure e smart contracts standardizzati a tal fine.
 
A fronte di tali obblighi, l’intermediario gode della fiducia delle istituzioni (dovrà essere notificato alla Commissione e sarà soggetto a controlli) e per questo può contare su vantaggi reputazionali e di qui competitivi, potendo offrire servizi a livello transnazionale e proporsi come campione nazionale ed europeo nella costruzione di data space. Di più, l’intermediario può operare direttamente sul mercato dei dati attraverso imprese separate.
 
A oggi è stato accreditato un solo intermediario, DataSpace Europe Oy, consorzio finlandese, che opera nel market place della filiera alimentare. Altri operatori si stanno attrezzando. Ad esempio, Deutsche Telekom con il servizio Data Intelligence Hub offre una piattaforma per scambiare i dati in modo sicuro. O anche la francese Dawex. La posta è ricca. Si stima che il mercato dei dati europeo raggiungerà un valore di 120 miliardi di euro entro il 2030. 

Speriamo (e contiamo) che si affermi almeno un intermediario italiano. Finora si è fatto poco. Il progetto Gaia X, ad esempio, in Italia sarebbe da rivitalizzare. Quelli che prima e meglio guadagneranno credibilità e reputazione in Europa nei data space, giocheranno un ruolo chiave nella nuova economia digitale.  

Solo costruendo un solido mercato per la condivisione aperta dei dati superando l’attuale far west e investendo in infrastrutture di calcolo, l’Europa può pensare di giocarsi qualche chance competitiva con le grandi piattaforme tecnologiche americane e cinesi.

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