Da sinistra, Segat Sutardja, Weili Dai, il ministro Urso e Beyung Joon Han (Ana/Claudio Peri) 

Non è Intel, ma l'investimento promesso da Silicon Box in Italia va preso molto sul serio

Stefano Cingolani

È una start up, ma potrebbe avere potenzialità interessanti, a partire dall'investimento da 3,2 miliardi e 1.600 dipendenti per uno stabilimento di assemblaggio dei "chip del futuro" nel nord del paese

Non è la blasonata Intel che dal 1968 ha invaso il mondo con i suoi chip di ogni ordine e grado; non è nemmeno la BYD anche se con le auto elettriche, l’Asia e con la stessa Cina ha molteplici nessi. La Silicon Box che oggi ha annunciato di voler investire 3,2 miliardi di euro per uno stabilimento di assemblaggio in Italia, il primo all’estero dopo quello di Singapore presentato l’estate scorsa, è una start up, ma potrebbe avere potenzialità interessanti.

 

L’accordo è stato presentato oggi dal ministro Adolfo Urso insieme a Han Byung Joon, di origine coreana, che guida la giovane azienda creata insieme all’indonesiano Sehat Sutardja fondatore trent’anni fa della Marvell, e a sua moglie Weili Dai. Il progetto prevede uno stabilimento con 1.600 dipendenti da dislocare nel nord Italia, se lo contendono Piemonte, Veneto, Lombardia. Non ci sono ancora date per la posa della prima pietra perché bisogna attendere il via libera della commissione europea. La fabbrica dovrebbe assemblare i chiplet, cioè minuscoli circuiti integrati grandi come granelli di sabbia che a loro volta, collocati su interfacce elettriche, pannelli rettangolari invece dei tradizionali wafer rotondi, formeranno un unico microprocessore. La differenza è che questo sistema consente una maggiore flessibilità e un risparmio energetico del 40 per cento con un aumento del 50 per cento delle performance elettriche. Vengono definiti i chip del futuro soprattutto per essere utilizzati nelle auto o negli elettrodomestici. Anche i grandi come Intel si sono lanciati sul nuovo prodotto, ma Silicon box è emersa all’improvviso, convinta di avere tutte le caratteristiche per fare meglio. Il venture fund di TDK, il colosso giapponese dell’elettronica, ci crede e a gennaio ha deciso di investire nella start up.
     

Silicon box è arrivata out of the blue, come si dice in inglese, ma non è venuta fuori proprio dal nulla. Sehat Sutardja ha una storia di tutto rispetto. Nato nel 1961 a Giacarta da una famiglia sino-indonesiana, si è perfezionato negli Stati Uniti e a Berkeley ha conosciuto Weili Dai. Un fugace incontro nell’ascensore del campus, un colpo di fulmine, un sodalizio di ferro, professionale e imprenditoriale. La coppia nel 1995 ha fondato il Marvell Technology group, associando anche Pantas Sutardja, fratello di Sehat. Oggi ha un fatturato di circa 6 miliardi di dollari, il quartier generale è nel Delaware. Nel 2021 quella che gli americani chiamano la Silicon couple, ha deciso di lanciarsi nel chiplet, anch’esso un prodotto della inarrestabile fucina di Berkeley (il nome di deve al professor John Wawrzynek, guru della ricerca nell’immenso campo che il matrimonio tra algoritmi ed elettricità può generare).  
     

A guidare la nuova società chiamata Silicon Box è stato scelto Han Byung Joon che per vent’anni, dal 1999 al 2019, ha lavorato per il gruppo cinese JCET prima società di assemblaggio e test di semiconduttori in Cina e terza al mondo. Nei laboratori JCET, Dr. Han, con Phd alla Columbia University, ha inventato il packaging di semiconduttori sviluppato poi da Silicon Box. A Singapore ha svolto numerosi importanti incarichi ufficiali e può contare su ben 300 brevetti. Non è stata dunque una sorpresa quando nel luglio scorso ha annunciato di voler aprire una fabbrica nella città stato investendo 2,65 miliardi di dollari e assumendo 1.200 dipendenti, molti dei quali ingegneri e tecnici. Circa il 20 per cento dei chip nel mondo sono montati a Singapore e il governo offre un’ampia gamma di incentivi per attrarre le imprese high tech. Il dottor Han ha scelto l’Italia come base europea, il governo Meloni ha lanciato un programma di sviluppo nei semiconduttori e ha messo a disposizione oltre 4 miliardi di euro. Non sono bastati a Intel che ne ha ottenuti nove da Berlino. Non conosciamo quali incentivi potrà avere Silicon Box. In ogni caso, dopo la delusione americana arriva adesso la speranza asiatica, in quel crogiolo del lontano oriente dove fermenta il futuro tecnologico del mondo. Mentre l’America fornisce il lievito e l’Europa finora ha raccolto le briciole.