Una foto dall'archivio Ansa dell'ex Ilva di Taranto 

Il destino dell'acciaieria

Ilva è di nuovo in amministrazione straordinaria ma senza un piano 

Annarita Digiorgio

Urso firma il decreto per Acciaierie d'Italia: il primo commissario sarà Giancarlo Quaranta. Ma allo slogan “faremo di Ilva la più grande acciaieria green d’Europa” non corrisponde un piano industriale e finanziario

Taranto. Alla fine il ministro delle Imprese Adolfo Urso ce l’ha fatta a mettere Acciaierie d’Italia in amministrazione straordinaria. Si chiude così l’epoca della multinazionale, di Lucia Morselli e  Franco Bernabè, che negli ultimi anni hanno mantenuto il fitto degli impianti sotto sequestro di proprietà di Ilva in amministrazione straordinaria. Il Tribunale di Milano dovrà fissare nei prossimi giorni un’udienza per decidere sullo stato d’insolvenza di Acciaierie di Italia  come richiesto dal socio di minoranza Invitalia.  Urso ha nominato il primo commissario della seconda As: è Giancarlo Quaranta, ingegnere e dirigente proprio di Ilva in As, entrato in fabbrica all’epoca di Italsider il 2 gennaio 1984. Una sorta di promozione, mentre nessun esterno ha accettato il ruolo. Tantomeno Carlo Mapelli, massimo esperto di siderurgia in Italia, che da mesi smonta il paventato piano di decarbonizzazione a preridotto (Dri). 

Per ora allo slogan di Urso “faremo di Ilva la più grande acciaieria green d’Europa” non corrisponde un piano industriale e finanziario. Questo secondo punto è il bubbone più grosso che ora si dovrà affrontare. A oggi Acciaierie d’Italia, secondo il ricorso presentato al tribunale di Milano, ha un debito di 3 miliardi. Dire che è colpa di una mala gestio dell’ad è uno specchietto per le allodole. Negli anni di gestione diretta dell’amministrazione straordinaria, dall’uscita dei Riva fino alla vendita nel 2018, Ilva  ha avuto perdite complessive per 3,6 miliardi. Al netto dei costi di cui non conosciamo l’entità. Questo perché la caratteristica principale delle amministrazioni straordinarie sono i bilanci omissis. È ciò che ha consentito ai commissari, fino al 2018, di pagare fornitori, consulenti, indotto, amministrare le vendite, i prestiti e la cassa, senza dover rendicontare molto. La produzione fu dimezzata e, diversamente da quanto promesso dai governi dell’epoca, che giustificarono il commissariamento con l’esigenza di realizzare per mano statale il risanamento ambientale, questo fu rinviato di anno in anno per decreto. 


Nonostante lo scudo penale, lo stesso neo commissario Quaranta, come i commissari dell’epoca, è indagato per reati ambientali di quel periodo. Ad attuare le prescrizioni è stato  il privato, dal 2018, e rispettando l’ultimo termine previsto nel 2023, con 800 milioni dei 2 miliardi di euro investiti da ArcelorMittal nell’ammodernamento degli impianti di tutti i siti. Cosa che oggi la multinazionale rivendica, a fronte dell’erogazione da parte del governo di meno di un terzo dei 2 miliardi di euro offerti al momento della creazione della partnership pubblico-privata con Invitalia. Una circostanza che ha influenzato la situazione finanziaria di Adi e che certamente costituirà motivo di contenzioso. Oggi il governo promette un rilancio dello stabilimento  con un prestito ponte di 320 milioni che, al momento, con le bollette da pagare, bastano per andare avanti forse fino a Pasqua. Con l’amministrazione straordinaria i debiti vengono accantonati, e ci sono ancora i 5 miliardi di crediti del 2015 da coprire. E per l’indotto di Taranto che, aldilà delle chiacchiere sulla riconversione, in dieci anni non si è mai evoluto dalla monocommitenza dall’acciaieria, è un secondo e definitivo bidone. Anche se l’amministrazione straordinaria, a differenza di un privato che deve far quadrare i conti, può dare maggiori garanzie. Ma i 5 miliardi  per il piano di decarbonizzazione chi li mette? Al momento l’unica cosa fatta dal governo è la cassa integrazione straordinaria in deroga per tutti, interni, As  e indotto.

Urso annuncia una gara rapida per nuovi imprenditori che, a suo dire, sono interessati a subentrare. Antonio Gozzi, presidente di Federacciai, ha già detto: “Non prima di tre anni, tempo per risanare impianti e casse, almeno 5 mila esuberi, e poi i soldi per la decarbonizzazione ce li deve mettere lo stato”. In tutto questo gli impianti sono ancora sotto sequestro. “A rappresentare il tempo perduto alla ricerca della migliore soluzione mi viene in aiuto un passaggio di Eugen Herrigel nel suo Lo zen e il tiro con l’arco: mi sembrava di procedere come il millepiedi che non fu più capace di camminare dopo che si fu lambiccato il cervello per stabilire in quale ordine muovere i piedi”. Lo scriveva pochi mese fa Giancarlo Quaranta, da oggi commissario straordinario Ilva. A lui ora tocca lambiccarsi sull’ordine con cui muovere i piedi.