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Sorpresa!

La gara in Confindustria è vera e riflette una grande trasformazione dell'Italia

Claudio Cerasa

Quattro imprenditori rendono la corsa alla presidenza di via dell'Astronomia per niente soporifera. Ora però, dopo la richiesta dei "saggi" a uno di loro di ritirarsi, è meglio astenersi dai dossieraggi

Sorpresa. Nel mondo dell’imprenditoria italiana c’è una notizia positiva che riguarda una competizione solitamente poco eccitante, la cui evocazione suscita da anni emozioni a metà tra un enorme sbadiglio, yawn, e una secchiata di bromuro: la corsa alla guida di Confindustria. Da tempo, la partita che si apre ogni quattro anni alla fine del mandato di un presidente è una partita solitamente segnata in partenza: in molti fanno sapere di volersi candidare, qualcuno baratta la propria candidatura con una vicepresidenza, qualcuno poi si candida davvero ma al fondo ciò che conta, nel profondo, è l’accordo di sistema tra i pesi massimi del patto di sindacato, considerato fondamentale, come si dice, per “non dividersi troppo” e per “non mostrare lacerazioni eccessive”. Quest’anno, per il dopo Carlo Bonomi, la competizione invece c’è, è forte, è fatta anche di colpi bassi, come vedremo, e ha permesso di mettere l’uno contro l’altro alcuni candidati dai profili interessanti. Alla fine del primo round elettorale, ai saggi sono arrivate quattro candidature: Emanuele Orsini, Edoardo Garrone, Antonio Gozzi, Alberto Marenghi.

 

 

Il primo ha ottenuto 48 firme, il secondo 44, il terzo 32, il quarto 22. Il nuovo leader di Confindustria verrà designato il 4 aprile ma il dato interessante è questo: mai come in questa occasione i candidati più forti di Confindustria rappresentano un pezzo significativo dell’imprenditoria italiana. Il favorito – con un “ma” che vedremo tra poche righe – è Orsini, un manager, è l’ad di Sistem Costruzioni, e di Tino Prosciutti, ha lanciato la sua corsa diversi mesi fa, ha ricevuto giorni fa qualcosa in più di un mezzo endorsement dall’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo Carlo Messina, ha costruito la sua base di consenso tra Toscana ed Emilia (non la Romagna) e rappresenta un’imprenditoria che si ritrova più nelle piccole imprese che in quelle grandi.
 

Dietro di lui, con un consenso alto nonostante il lancio della loro campagna sia avvenuto a dicembre, ovvero molti mesi dopo la discesa in campo di Orsini, ci sono due figure complementari ma non sovrapponibili. La prima è quella di  Edoardo Garrone, presidente del gruppo Erg oltre che presidente del cda del Sole 24 Ore. La seconda è quella di  Antonio Gozzi, presidente del gruppo Duferco e di Federacciai. Il primo, che dopo aver venduto le raffinerie gestisce un fondo di investimento specializzato in rinnovabili, rappresenta la storica nobiltà imprenditoriale milanese, dove ha raccolto il grosso delle sue firme, ed è sostenuto da una parte di Assolombarda, da Marco Tronchetti Provera, da Emma Marcegaglia e dalla Confindustria torinese e piemontese e dalle realtà imprenditoriali più attente ai servizi che all’industria pesante. Il secondo, Gozzi, ha conquistato il suo consenso nelle province manifatturiere della Lombardia, Cremona, Brescia, Bergamo, oltre che Napoli e Treviso, ha ottenuto l’appoggio di Farmindustria, della filiera della moda, della chimica e della Proxigas, l’associazione di riferimento del settore gas, naturalmente molto vicina a Eni. Piccole imprese (come le piccole imprese le rappresenta Marenghi, ad di Cartiera Mantovana) e poi finanza e industria. Il governo, finora, ha scelto di non interferire con la campagna di Confindustria (dal Mef è arrivato l’ordine alle partecipate di non schierarsi in questa fase) ma ciò che invece potrebbe turbare la competizione vera, reale, che esiste fra tre candidati che esprimono tre idee diverse di imprenditoria italiana è una storia emersa ieri e anticipata dal Foglio.
 

I saggi di Confindustria, per via di una lettera anonima che ha messo sotto osservazione senza prove specifiche alcune spese effettuate da Orsini ai tempi della guida di Federlegno, hanno invitato il candidato a valutare l’opportunità di fare un passo di lato. Orsini ha detto di no. Ma la storia è destinata a non finire qui e potrebbe anche far dilatare i tempi della successione a Bonomi. Meno carte bollate, più competizione: la credibilità dell'associazione che rappresenta gli imprenditori italiani oggi si misura anche così.

  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.