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L'analisi

La produzione industriale sale. Ma i veri test per l'economia vengono da consumi e contratti

Dario Di Vico

Dopo i dati sulla fiducia dei consumatori, anche i dati di dicembre in merito all'offerta sono positivi: un +1.1 per cento. Tuttavia, nonostante un quadro positivo, quasi tutti gli analisti e gli studiosi chiedono cautela, considerando la necessità di monitorare attentamente il commercio internazionale

Ieri abbiamo incamerato, dopo quelli della fiducia dei consumatori, dati positivi sulla produzione industriale di dicembre. Che è andata su (+1,1 per cento) in misura maggiore del consensus degli analisti fermo a +0,9 per cento. Per di più anche il dato di novembre, che era negativo come quello dell’intero 2023, è stato comunque corretto di due decimi al rialzo. La rilevazione ufficiale, pur di un mese “ballerino” come dicembre, rafforza la convinzione di molti osservatori che il peggio sia ormai alle spalle, che si sia invertita la rotta rispetto al ciclo depressivo ma da ciò non se ne può affatto dedurre che la ripresa sia imminente. Quasi tutti, dagli osservatori italiani alle autorità di Bruxelles, invitano ad attendere la seconda metà dell’anno. I fattori che decideranno del timing della ripartenza sono noti e riportano immediatamente alle scelte delle autorità monetarie per il ribasso dei tassi. A ruota c’è da monitorare l’andamento del commercio internazionale che, se dovesse restare sui livelli di oggi, peserebbe negativamente sull’export di tutto il primo semestre dell’anno in corso condannando il nostro Pil a crescere di 0,1 per cento o giù di lì per trimestre. Ma un terzo elemento che è meno indagato e meno riproposto in sede di analisi/previsione riguarda l’andamento dei consumi interni di beni manifatturieri.
 

Esaminando in dettaglio il comunicato Istat di ieri in verità c’è un elemento che spicca ovvero che a determinare l’avanzamento della produzione industriale siano stati soprattutto i beni di consumo (+3 per cento). Ma si tratta di un dato che gli esperti prendono con le pinze perché non trova, per ora, riscontro nelle vendite al dettaglio e nelle survey che si effettuano a scadenza più ritmata. È vero che si segnala un buon andamento a dicembre dell’industria del legno ma dovrebbe essere in qualche modo legato alla coda del Superbonus e alle fatturazioni anticipate di dicembre.
 

Insomma per quanto conosciamo finora i consumi delle famiglie italiane sono trainati dai servizi non dall’acquisto di beni durevoli e non. La ristorazione tiene, gli stadi sono più pieni degli anni precedenti, c’è stato addirittura un revival delle sale cinematografiche che sembravano essere state messe in un cantone dalla modernità ed è sempre segnalato un buon ritmo dei passaggi di veicoli leggeri in autostrada. L’interpretazione di queste tendenze non è facile e può essere sicuramente ricondotta alla percezione di una maggiore qualità dello spettacolo offerto ma c’è una componente sociologica di medio-periodo legata ad abitudini di partecipazione maturate nell’euforia delle riaperture post-Covid e che hanno finito per mutare gli stili di vita e le priorità di spesa. Meno rinnovo del guardaroba ad esempio (anche a causa del clima) e più musica, sport, film e week end fuori città.
 

Qualche eccezione nelle vendite di beni c’è stata nel 2023 come quella dell’automotive legata a un effetto di ritardo nelle consegne delle vetture (i famosi microchip mancanti) e quindi vendite spalmate su più mesi. O addirittura l’eccezione della farmaceutica le cui vendite si sono giovate dell’ampia diffusione dei virus influenzali di questa stagione. Ma insomma niente che prometta per il primo semestre del 2024 un significativo effetto traino. L’anno passato è stato un calvario per le vendite di beni alimentari e anche in questo caso abbiamo registrato mutamenti di medio periodo come l’aumento della quota di mercato dei discount e l’affermazione definitiva della cosiddetta “marca del distributore”. Eppure proprio della velocità della risalita dei consumi dipenderà il timing della ripresa economica. Il rientro dell’inflazione può costituire un terreno sicuramente più favorevole così come il pur limitato incremento del potere d’acquisto degli italiani (legato alla riduzione del cuneo fiscale) spinge oggettivamente sul lato dei consumi.

Un incentivo potrebbe venire dal rinnovo dei contratti di lavoro ancora aperti: quello del commercio e del terziario che riguarda 5 milioni di lavoratori e ancora non si sblocca. Potrebbe giungere a fine febbraio al traguardo quello degli alimentaristi (400 mila addetti) che dovrebbe prevedere un aumento superiore ai 200 euro. Una decisione positiva è stata presa dalle organizzazioni datoriali della chimica e della farmaceutica che hanno anticipato la data di esborso di una tranche degli aumenti retributivi negoziati nell’ultima tornata di rinnovo contrattuale. Per i metalmeccanici (1,5 milione di addetti), infine, bisognerà aspettare più in là perché il contratto scade a fine giugno e comunque dalle prime avvisaglie il suo rinnovo di presenta tutt'altro che agevole.

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