Paradossi

Gli ambientalisti in confusione calpestati dalle proteste dei trattori

Luciano Capone e Carlo Stagnaro

Le proteste degli agricoltori sono il colpo più duro ed efficace al Green deal europeo e alla transizione energetica. Di fronte a una sfida così cruciale la reazione del mondo ecologista è disorientata, tra solidarietà e paternalismo

È difficile dire se quelle tra i movimenti ambientalisti e proteste degli agricoltori siano più relazioni pericolose o una sindrome di Stoccolma. Fatto sta che le principali organizzazioni verdi faticano a prendere le distanze dalle proteste di questi giorni, nonostante le rispettive piattaforme politiche siano assai diverse, soprattutto sulle questioni climatiche. Sul piano dei metodi è anche comprensibile, dato che il movimento ecologista ha sdoganato e legittimato i blocchi stradali e le vernici sui monumenti, ma sul piano del merito la contrapposizione dovrebbe essere netta. Perché la protesta degli agricoltori è, poco prima delle elezioni europee, il colpo più duro ed efficace alle politiche green dell’Unione europea.
 

Quali sono le richieste degli agricoltori? Se ci concentriamo su quelle che hanno diretta attinenza con gli aspetti ambientali, non ce n’è praticamente nessuna che coincida con l’agenda verde: gli agricoltori vogliono più agevolazioni sul gasolio, che invece per gli ecologisti sono sussidi ambientalmente dannosi da abolire; gli agricoltori vogliono mettere al bando la “carne sintetica” e le farine di insetti, che invece per gli ecologisti sono uno strumento necessario per ridurre l’impronta ecologica dell’alimentazione umana. Gli agricoltori vogliono che l’Europa abbandoni le norme sulla messa a riposo dei terreni, che invece per gli ecologisti sono necessarie alla conservazione della biodiversità; gli agricoltori vogliono la soppressione delle norme che puntano a ridurre l’uso dei pesticidi, mentre gli ecologisti puntano ad abolire l’uso dei pesticidi.
 

Eppure, gli ambientalisti si voltano dall’altra parte, tendono la mano, o addirittura si schierano senza se e senza ma dalla parte dei trattori a combustibile fossile. Così ha fatto Giacomo Zattini, il portavoce nazionale di Fridays for Future, che è letteralmente e metaforicamente “salito sul trattore”. Così Ultima generazioneExtinction Rebellion, che sui loro profili social si dichiarano “insieme agli agricoltori”. Appena più sfumata è la posizione delle organizzazioni storiche, che cercano di convincere gli agricoltori che “il Green deal non è il nemico ma un alleato strategico del mondo agricolo” (Legambiente) e “gli agricoltori sono allo stremo, ma non è colpa delle regole di tutela dell’ambiente”.
 

L’idea prevalente è che gli agricoltori sono compagni che sbagliano, in quanto dirigono la loro rabbia verso l’obiettivo scorretto. È il cambiamento climatico, non le politiche per la transizione energetica, a metterne in discussione il modello di business. Pertanto dovrebbero intestarsi il Green deal e la strategia Farm to fork, anziché contestarle, perché solo così potranno mettersi dalla parte giusta della storia. Anzi, dovrebbero chiedere politiche green più hard. Questa è la tesi sostenuta dalla coalizione Cambiamo Agricoltura, che unisce associazioni ecologiste come il Wwf, la Lipu e Legambiente ad altre realtà come l’Associazione per l’agricoltura biodinamica e Slow Food.
 

Il problema è che il punto di vista degli agricoltori è più prosaico: essi sono consapevoli dei rischi della crisi climatica e infatti sostengono gli obiettivi europei; vorrebbero soltanto che fossero stralciati quelli da cui sono colpiti direttamente. La coalizione Cambiamo Agricoltura si rende conto di questa contraddizione e infatti prende una posizione davvero sorprendente su un tema cruciale: “Le Associazioni rilevano che la cancellazione dei sussidi al gasolio agricolo, autentica causa delle proteste degli agricoltori tedeschi, è prevedibile anche in Italia per gli impegni assunti con il Pnrr… Una parziale soluzione per questi problemi è indicata proprio dalle Strategie Ue Farm to Fork e Biodiversità 2030 che prevedono la crescita delle superfici agricole dedicate all’agricoltura biologica, i cui costi di produzione sono legati in misura minore alla variabilità dei costi degli input chimici derivanti da petrolio e gas, oltre a essere più remunerativa per gli agricoltori”. L’argomento, piuttosto paternalista, è in sostanza che gli agricoltori potrebbero facilmente cambiare prodotti e metodi produttivi verso un modello più redditizio ma, per qualche strana ragione, non se ne rendono conto.
 

Tra le poche voci che esprimono un dissenso più marcato, l’ex europarlamentare Monica Frassoni (“l’agricoltura deve cambiare per essere a prova di clima”) e il leader dei Verdi Angelo Bonelli, tra i pochi ad attaccare anche i metodi della protesta ma anche solidale in quanto gli agricoltori sarebbero “strangolati dalle multinazionali e dagli accordi di libero scambio”. Ed è proprio qui la chiave per comprendere questa curiosa convergenza. Lo spiega in modo dettagliato la responsabile agricoltura di Greenpeace, Federica Ferrario, in un lungo articolo sull’Espresso, che si può sintetizzare in questa frase: “La crisi esiste, ma ciò che sta mettendo fuori mercato le aziende agricole è il fatto che i sussidi, le regole e il mercato sono tutti orientati a beneficio degli attori più grandi. Le maggiori catene della grande distribuzione e le grandi aziende alimentari e di trasformazione possono imporre prezzi bassi agli agricoltori”.
 

In breve, gli agricoltori scesi in piazza hanno un obiettivo a breve termine: affossare la parte del Green deal che li riguarda. E uno a lungo termine: contrastare la globalizzazione e rovesciare, se non il capitalismo, quantomeno i rapporti di forza con la grande distribuzione e l’industria agroalimentare. Le principali associazioni ambientaliste, seppure con accenti diversi, sembrano convinte che questo secondo obiettivo, che di per sé ha poco a che fare col clima e molto di più con l’organizzazione della società, sia prevalente sul primo. E quindi, pur tirando le orecchie ai trattori, sono pronti a chiudere un occhio sul fatto che essi si battono contro misure di cui gli ambientalisti stessi sono grandi sostenitori, nel nome del comune interesse a ricostruire un mondo nuovo.
 

Che l’agenda politica trionfi sull’agenda climatica è un elemento nuovo del dibattito ed è evidente da un altro fatto: la durezza con cui questi soggetti si sono scagliati contro Ursula von der Leyen, colpevole di aver ceduto alle richieste dei manifestanti con le cui proteste gli stessi ambientalisti hanno solidarizzato. Al di là della comunanza di metodi, il punto è che gli ambientalisti pensano di avere gli stessi nemici degli agricoltori e su questo si fonda la strana alleanza, con buona pace del clima.

 

 

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