in conferenza stampa
Tutto quello che Meloni non dice sugli extraprofitti
La premier è tornata a difendere il provvedimento, ma invece che glissare su uno dei più grandi scivoloni del 2023 ha rilanciato con delle inesattezze. Parlano i prof. Gatti e Comma
La tassa sugli extra profitti alle banche? “È stata criticata da chi ha fatto regali miliardari agli istituti, come Pd e M5 Stelle – ha detto la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni – In realtà, è stata un’operazione win win per lo stato”. Invece che glissare su uno dei più grandi scivoloni del 2023 di Palazzo Chigi, il capo del governo vi si è soffermata e ha insistito: “Si deve riconoscere il nostro coraggio”. Peccato, però, che l’esecutivo non se la sia sentita di portare avanti un intervento che, nella sua versione iniziale, avrebbe potuto generare “una grave distorsione di mercato”, come spiega al Foglio Stefano Gatti, professore di finanza all’Università Bocconi, e a un certo punto abbia fatto marcia indietro.
La tassa sul margine di interesse “ingiusto” – così ha continuato a definirlo Giorgia Meloni nella conferenza stampa di fine anno – si è trasformata in un rafforzamento del sistema bancario. A quest’ultimo, infatti, è stato offerto come alternativa al versamento della tassa allo stato, la possibilità di accantonare a riserva di capitale il relativo ammontare moltiplicato per 2,5. Alla fine, il tutto si è tradotto in una ricapitalizzazione a condizioni di favore per gli istituti di credito e in “sospensione d’imposta”, come la definisce Mario Comana, ordinario di economia degli intermediari finanziari alla Luiss. Gatti e Comana hanno accettato l’invito del Foglio di ricostruire gli effetti di uno degli interventi più discussi del governo Meloni. “Tra questi ce n’è uno molto positivo anche se credo involontario – osserva Gatti – ed è che ha contribuito alla performance brillante di Piazza Affari del 2023. Forse non tutti ricordano che in un paese come l’Italia i titoli bancari rappresentano una fetta molto rilevante della Borsa”.
Nell’ultimo anno, infatti, il Ftse Italia banche (l’indice di settore) ha guadagnato circa il 40 per cento, merito senz’altro dell’incremento dei tassi d’interesse della Bce che ha spinto i profitti del settore per tutto il 2023. Verso fine anno, però, quando è stato chiaro che nessuna banca avrebbe pagato la tassa sugli extra profitti – neanche quelle straniere che operano nel paese – ma che tutte avrebbero optato per l’accantonamento, gli acquisti di Borsa sui titoli bancari hanno accelerato il passo poiché gli investitori soprattutto quelli esteri, hanno apprezzato il rafforzamento patrimoniale. “Quello che è accaduto – prosegue il docente della Bocconi – dimostra che bisogna fare grande attenzione ad utilizzare la leva della tassazione in maniera così disinvolta nel mondo delle banche ma anche delle imprese. Ogni intervento pubblico deve essere ben calibrato poiché può generare incertezza sull’affidabilità nei confronti del sistema paese. Si sarebbe potuto mettere in atto un’operazione di moral suasion avviando un tavolo di confronto con le banche per cercare un punto d’incontro. Un’azione diplomatica. Invece, si è preferito un provvedimento ispirato a una logica di Robin Hood tax. Tale ispirazione è poi scomparsa perché in sede di conversione il provvedimento ha aperto la strada a una ricapitalizzazione che, in effetti, è avvenuta a condizioni di favore per le banche”.
Un’altra cosa di cui la premier ha detto di andare fiera è che la tassa sugli extra profitti è stata positiva sia per lo stato sia per i cittadini (“operazione win win”). Aumentando il capitale, ha sostenuto, le aziende di credito possono erogare più prestiti e far crescere i ricavi, il che nel medio-lungo periodo vuol dire versare più tasse. È così? “In astratto è così – ribatte Comana – Ma sul piano pratico le cose stanno un po’ diversamente. In genere, le banche riducono gli impieghi per motivi legati al peggioramento delle condizioni macro economiche e il fatto che il loro capitale si rafforza non le induce automaticamente a erogare più finanziamenti. Questo si verifica solo se il motivo per il quale restringono il credito è che non hanno capitale sufficiente. Ma non è quello che sta accadendo oggi in Italia dove il sistema bancario è più che solido e ha liquidità da investire”.
Insomma, l’equazione maggiori accantonamenti più imposte da versare in futuro è ben lontana dalla realtà. Di domani, però, non c’è certezza e sia Gatti sia Comana sono del parere che non ratificare la riforma del Mes – il meccanismo europeo di stabilità che dispone di una dotazione finanziaria per affrontare le crisi bancarie – sia stato un errore. Anche di questo il presidente del Consiglio ha parlato in conferenza stampa ribadendo che è stata una scelta del Parlamento, ma aggiungendo che “i mercati sono consapevoli che è uno strumento obsoleto e che va reso più efficace”. In realtà, i mercati finanziari si sono concentrati sugli impegni di rigore fiscale per i prossimi anni che il governo Meloni ha assunto sottoscrivendo il nuovo patto di stabilità, mentre si sono praticamente disinteressati alla questione del Mes non vedendo crac bancari all’orizzonte. “Un giorno, però, del Mes ci potrebbe essere bisogno in Italia come in un altro paese – conclude Gatti – Quello che dovrebbe guidare queste scelte è uno spirito solidaristico europeo”. Vuol dire partecipare al salvataggio di una banca francese o tedesca? “Certo – replica Comana – Perché la solidarietà dovrebbe valere per Next generation Eu e non per salvaguardare la stabilità del sistema finanziario dell’Eurozona?”.
Verso la legge di bilancio