Gabriella Clare Marino (Unsplash) 

lo studio

Un'agenda per modernizzare partite Iva e lavoro autonomo

Dario Di Vico

C'è un blocco politico-sociale che si oppone al cambiamento e chiede protezione dai meccanismi del mercato. Ma studiare la rivoluzione in corso, come ha fatto la Bocconi, aiuta a capire cosa invece è utile fare. Tre obiettivi che si possono ottenere entro la fine della legislatura

E’ la prima volta che dei docenti dell’università Bocconi si applicano ai temi del lavoro autonomo e delle partite Iva finora considerati de facto come un fattore residuale del funzionamento dell’economia italiana e in definitiva snobbate. Non è un caso che le letture della consistenza economica e politica del lavoro indipendente in Italia abbiano trovato spazio prevalentemente nell’ambito del centro-destra con l’eccezione, in campo accademico, di Giuseppe Vitaletti. Una figura-chiave dell’elaborazione economica in materia è stato ovviamente Giulio Tremonti grazie ai ruoli ricoperti al governo ma anche perché ha contribuito notevolmente alla creazione di uno storytelling elettoralmente vincente sulle partite Iva. Spiega però Carlo Altomonte della Sda Bocconi: “Ci siamo interessati al lavoro autonomo per un doppio ordine di motivi. Il primo riguarda la domanda di imprenditorialità che viene dai nostri studenti che si indirizzano verso nuove figure professionali e non sempre verso nuove imprese. Il secondo è la prospettiva di un mercato unico europeo dei liberi professionisti e proprio per questo motivo la nostra è una ricerca condotta in chiave comparata con 5 Paesi Ue”.  

A rendere maggiormente intrigante la novità c’è da aggiungere qualche dettaglio sulla committenza: a chiedere l’aiuto dell’università milanese è stato Eugenio Filograna, imprenditore ex bocconiano, ex parlamentare del centro-destra e attualmente animatore dello CsapItalia, un centro studi sulle professioni che vuole tener vivo il dibattito sul futuro delle partite Iva coinvolgendo governo e Parlamento. La ricerca Bocconi ha anche il dichiarato scopo di sottoporre alcune raccomandazioni di policy sul tema del lavoro autonomo a un confronto da avviare nella sede istituzionale del Cnel, che punta con la presidenza Brunetta ad avere un ruolo cruciale di supporto dell’azione legislativa e di governo. 

Partiamo dai numeri-chiave: da noi i lavoratori autonomi sono il 20,6% degli occupati e in termini assoluti nel 2022 raggiungevano la cifra di 4 milioni 765 mila. L’Italia è il paese Ue con l’incidenza maggiore di autonomi da almeno venti anni, tuttavia con un trend in discesa. Il 73,2% di loro è attivo nel settore dei servizi, valore superiore rispetto al 69,3% di tutti i lavoratori. Il 56% degli occupati sia “nelle attività immobiliari” sia nelle “attività professionali, scientifiche e tecniche” sono lavoratori indipendenti. I dati purtroppo non consentono una bipartizione tra gli autonomi di prima generazione (artigiani e commercianti) e di seconda generazione (i knowledge workers) ma, sostiene Altomonte, “vorremmo approfondirla per contribuire a un dibattito strutturato che può trovare nell’Osservatorio sul lavoro autonomo creato presso il Cnel la sede più consona”. L’Italia è comunque il Paese con la più alta incidenza di lavoratori autonomi molto soddisfatti del proprio lavoro ma nonostante questa dichiarazione l’Italia ha anche il maggior numero di indipendenti che vorrebbero diventare dipendenti. E “l’insicurezza economica”, percepita dal 51% degli interessati, è la motivazione principale di questa evidente contraddizione.

Il contributo che viene dai docenti Bocconi – oltre ad Altomonte hanno lavorato all’indagine Carlo Alberto Carnevale Maffè e Stefano Riela – è finalizzato a far nascere una sorta di agenda per la modernizzazione del lavoro autonomo laddove invece l’elemento tradizione conta moltissimo e alimenta un blocco politico-sociale che si oppone in vario modo al cambiamento e chiede protezione dai meccanismi del mercato. Punti qualificanti dell'agenda sono tecnologia, produttività, fiscalità, credito e welfare. I tre obiettivi che si possono ottenere entro la fine della legislatura e che vengono suggeriti sono: a) incremento della produttività del lavoro autonomo allineandola alla media europea; b) la riduzione dei costi e dei tempi dei rapporti con lo Stato digitalizzando il 100% delle transazioni; c) ridurre il gender gap (dal 10 al 5%) aumentando la partecipazione al lavoro autonomo di donne, giovani e cittadini extracomunitari. E il terzo obiettivo si spiega con il dato che vede crescere gli autonomi con 65 o più anni, diminuire quelli sotto i 29 anni e registrare la percentuale di lavoratori autonomi con laurea come la più bassa rispetto al campione Ue (è ancora diminuita nel periodo 2019-22).    

Stando così le cose qual è la chiave per “predicare” modernizzazione e sperare di essere ascoltati? “Il miglioramento e l’efficientamento della loro posizione nella catena del valore” risponde Altomonte e questo processo passa innanzitutto per il binomio semplificazione/digitalizzazione. “Tagliando i tempi della burocrazia si libera per le partite Iva la risorsa tempo, decisiva ai fini del successo commerciale. La digitalizzazione poi obbligherà presto o tardi gli autonomi a spostarsi su piattaforme digitali che garantiscano interoperabilità e questo consentirà loro di accedere a un mercato non solo più locale. Con tutti i vantaggi che ne conseguono”.

Le querelle attorno all’introduzione dei Pos mostrano però quanto la tradizione sia difficile da scalfire. Quello delle partite Iva è un mondo tendenzialmente analogico che non dialoga con il digitale anche perché non ama troppo essere tracciato. “Il trade off che suggeriamo come indicazione di policy è semplificazione per tracciabilità. Del resto il mondo degli autonomi e chi li sostiene dall’esterno si muove in una contraddizione: da una parte si dichiara vessato dalla burocrazia, ma dall’altra, a torto o a ragione, è accusato di evasione fiscale”. Semplificando le procedure si guadagna tempo e in cambio si dovrebbe offrire disponibilità ad essere tracciati. E’ una soluzione che in Sda Bocconi considerano tecnica e organizzativa ma non se ne nascondono il retroterra culturale, di rivisitazione del rapporto con lo Stato. “Ma questi nodi – aggiunge Altomonte – il lavoro autonomo è chiamato a scioglierli, pena una crescente residualità. Non è un caso che la produttività delle partite Iva italiane emerga dal confronto come la più bassa”.

Affrontare il tema della produttività del lavoro autonomo non è solo un tabù ma implica nel medio periodo una drastica selezione. Le partite Iva sono troppe? Secondo Altomonte il rischio di finire fuori mercato per una parte del lavoro autonomo, in particolare quello più tradizionale non è piccolo, e per certi versi anche inevitabile in epoca di digitalizzazione dei servizi. L’alternativa sta nel tentare di gestire questa trasformazione. “Penso a politiche di formazione e a un budget di supporto sociale investito sulle politiche attive del lavoro. La selezione va gestita, va mappato chi esce e quali skills si porta dietro. E non è impossibile incrociare i dati territoriali del mercato del lavoro con le identità professionali che si liberano. E’ una delle transizioni destinata ad accadere, meglio puntare a governarla”. Laddove oggi ci sono dieci artigiani domani ci potrà una società capofila che li contrattualizzerà in regime di franchising, per fare un esempio, provvedendo ad una adeguata dotazione di infrastrutture digitali e di schemi organizzativi. Nell’agenda della modernizzazione ipotizzata dai professori della Bocconi c’è infatti anche una nuova organizzazione del lavoro. E prevede la messa in rete di alcune delle realtà del lavoro autonomo, strutture in comune, acquisti collettivi. Una sorta di managerializzazione della libera professione. “Occorre che la dimensione minima dei soggetti che erogano il servizio salga, penso all’aggregazione dei professionisti”.

Veniamo al welfare e alla protezione sociale. I dati disponibili a livello europeo indicano elevati tassi di povertà lavorativa tra gli autonomi individuali: esaminando 12 Stati non hanno accesso all’indennità di disoccupazione 15,3 milioni, alle prestazioni relative agli infortuni e malattie professionali 3,9 milioni e 5,3 milioni alle prestazioni di malattia. “E’ possibile colmare questa situazione con riforme strutturali che assicurino copertura formale ed effettiva e con la trasparenza garantita da un’infrastruttura di controlli che, attraverso l’incrocio di banche dati, consenta di mappare le figure professionali potenzialmente più deboli, o a rischio di abuso”. E’ necessario in parallelo sviluppare le forme di previdenza complementare ma anche rendersi conto che tra 20-30 anni scoppierà un problema generazionale drammatico per le partite Iva che si troveranno a godere di una pensione risibile. Altomonte, infine, invita a ragionare sulla portabilità dei diritti previdenziali che oggi non è trasferibile in Europa e che invece in una logica di mercato europeo delle professioni è una via obbligata.

L’attenzione alla protezione sociale insieme alla battaglia per la semplificazione, pescando alcuni dei temi dell’agenda Sda Bocconi, saranno sufficienti a garantire un ascolto alle proposte di cui sopra? O i professori sottovalutano la forza dell’intreccio tradizione-tutela che lega, in maniera che oggi pare indissolubile, partite Iva e centro-destra?

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