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lo scaffale di Tria

La “battaglia di Bretton Woods”, la confusione e una nuova architettura monetaria

Giovanni Tria

In assenza di una moneta sovranazionale, solo un nuovo accordo di collaborazione potrebbe finalmente risolvere l'annosa questione monetaria

"La saga di Bretton Woods si è svolta a un crocevia unico nella storia moderna. Una potenza anticoloniale in ascesa, gli Stati Uniti, ha usato la leva economica nei confronti di un’alleata potenza imperiale insolvente, la Gran Bretagna, per fissare le condizioni alle quali quest’ultima avrebbe dovuto cedere il suo declinante potere sul commercio e la finanza internazionali. La Gran Bretagna ha cooperato perché lo scopo prioritario della sopravvivenza lo rendeva indispensabile. L’architettura monetaria predisposta da Harry White, e portata a buon fine con una conferenza internazionale di alleati affamati di dollari, in seguito è fallita per le sue stesse contraddizioni. Il Fondo monetario internazionale, l’istituzione creata a Bretton Woods, dura ancora – anche se molti suoi obiettivi sono cambiati – e molti sperano che possa essere il catalizzatore di una nuova e più duratura “Bretton Woods”. Tuttavia, la storia ci dice che non ci sarà una nuova architettura monetaria basata sulla cooperazione fino a che sia gli Stati Uniti che la Cina non arriveranno alla conclusione che le conseguenze di uno stato di confusione, senza la prospettiva di correggere gli squilibri endemici tra loro, sono troppo gravi. Anche più spaventosi sono i requisiti per la costruzione di un sistema duraturo; il nazionalismo monetario è stato la tomba dell’ultimo grande sforzo realizzato nel 1944”. 

 

Questa lunga citazione è la conclusione dell’Epilogo di un importante volume di storia economica scritto da Benn Steil, La battaglia di Bretton Woods, pubblicato in Italia nel 2015 da Donzelli con la prefazione di Pierluigi Ciocca, ma uscito negli Stati Uniti nel 2013 per la Princeton University Press.
La “confusione” di cui parla Benn Steil è certamente aumentata dal 2013 e le conseguenze si profilano sempre più gravi, e l’osservazione sulla necessità che Cina e Stati Uniti traggano “conclusioni” sagge è ancor più rilevante oggi di dieci anni fa. Il sistema monetario internazionale basato sulla convertibilità in oro del dollaro, disegnato nel 1944 nella Conferenza di Bretton Woods, in cui l’americano Harry White sconfisse la posizione di Keynes, fautore di un sistema basato su una moneta sovranazionale, crollò nel 1971, quando Nixon decise di rifiutare la conversione in oro dei dollari detenuti dai paesi europei grazie al loro surplus commerciale rispetto agli Stati Uniti. Non cadde tuttavia il ruolo del dollaro come moneta internazionale di fatto. Ruolo che ancora resiste essendo basato sull’essere accettato universalmente come mezzo di pagamento e riserva di valore. Non cadde, tuttavia, neppure la contraddizione denunciata già negli anni Sessanta dello scorso secolo dall’economista belga Robert Triffin e dal francese Jacque Rueff, consigliere economico di Charles De Gaulle.

 

La contraddizione sta nel fatto che l’offerta di moneta internazionale che dovrebbe sostenere la crescita del commercio internazionale è in realtà guidata dai problemi economici interni del paese che emette questa moneta, cioè gli Stati Uniti. Questo è il motivo per cui ritorna periodicamente il dibattito sulla necessità di risolvere questa contraddizione. Dibattito che rimane accademico, perché è difficile immaginare a breve un’alternativa al dollaro, ma non per questo irrilevante. Il tema è peraltro strettamente politico, soprattutto a seguito della crescente weaponization del dollaro, cioè del suo uso come arma nei conflitti geopolitici. Ciò significa che non si intravede una possibile moneta nazionale sostitutiva del dollaro nell’ordine, o meglio nel disordine, monetario esistente, come lo fu il dollaro oltre settanta anni fa rispetto alla sterlina. Il tema è diventato, tuttavia, principalmente una componente del confronto tra Stati Uniti, Cina e altri paesi emergenti che rivendicano un maggior ruolo delle altre valute nazionali, in assenza appunto di una moneta sovranazionale. La questione monetaria può essere, quindi, affrontata solo nell’ambito di un accordo di cooperazione più ampio per stabilire nuove regole del gioco condivise e che riflettano i nuovi assetti economici globali. Una nuova Bretton Woods. L’alternativa è di procedere verso il conflitto, per ora economico e commerciale, anche se tutti lo negano. Ma fino a che si discute di egemonia, come obiettivo, non è chiaro quale possa essere l’esito di questo conflitto, se non esattamente l’opposto di quello di una strategia Win-win. Nel frattempo l’Europa sta a guardare.