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Il Cnel approva il primo documento sul salario minimo. Ecco il testo

Renato Brunetta

Conclusa la prima fase dell'istruttoria sul lavoro povero. Cgil vota contro e la Uil si astiene. Le proposte finali saranno presentate il 12 ottobre

Sul salario minimo il Cnel batte un colpo. Oggi nel corso dell'assemblea presieduta da Renato Brunetta è stato illustrato il documento relativo agli esiti della prima fase istruttoria tecnica sul lavoro povero e il salario minimo, precedentemente approvato dalla Commissione dell’Informazione, con il solo voto contrario della Cgil e l’astensione della Uil. Seguirà a questo la seconda parte sulle proposte, che sarà consegnata ai consiglieri entro il 6 ottobre. Il documento finale sarà discusso in assemblea il 12 ottobre. Pubblichiamo di seguito un estratto del documento, che si può sfogliare integralmente al termine della sintesi.

Condividere dati, scenari, possibili soluzioni e criticità

Per evitare di replicare nelle dinamiche interne al CNEL schemi di ragionamento duali – che si prestano a strumentalizzazioni politiche ed eccessi di semplificazione di un problema altamente complesso – i componenti della Commissione per l’informazione del CNEL concordano sulla importanza di pervenire alla formulazione di un documento finale ampio e inclusivo. Un documento orientato cioè a condividere dati, scenari, possibili soluzioni e criticità.

 

Un fenomeno che va oltre la questione salario

Per altri profili, strettamente collegati alle motivazioni politiche di una proposta di legge in materia di salario minimo, i componenti della Commissione dell’informazione richiamano la relazione del gruppo di lavoro, istituito con Decreto Ministeriale n. 126 del 2021, che è chiara nel precisare come, “nel dibattito pubblico, la povertà lavorativa è spesso collegata a salari insufficienti mentre questa è il risultato di un processo che va ben oltre il salario e che riguarda i tempi di lavoro (ovvero quante ore si lavora abitualmente a settimana e quante settimane si è occupati nel corso di un anno), la composizione familiare (e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo) e l’azione redistributiva dello Stato”.

 

Le indicazioni della direttiva europea

I componenti della Commissione dell’informazione si trovano concordi nell’individuare, come metodo, quanto suggerito nella prima seduta del 22 settembre scorso dal Presidente del CNEL, Renato Brunetta, e cioè di fare riferimento alla Direttiva (UE) 2022/2041 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 19 ottobre 2022 relativa a salari minimi adeguati nella Unione europea, anche in ragione dei vincoli per l’Italia con riferimento alla sua trasposizione nel nostro ordinamento giuridico prevista entro il 15 novembre 2024.

Come noto la direttiva europea non impone agli Stati membri alcun obbligo di fissare per legge il salario minimo adeguato (vedi espressamente, in questi termini, l’art. 1, § 4, lett. A della direttiva) e neppure di stabilire un meccanismo vincolante per l’efficacia generalizzata dei contratti collettivi (vedi espressamente, in questi termini, l’art. 1, § 4, lett. B della direttiva). La direttiva è al contrario estremamente chiara nel segnalare, rispetto all’obiettivo di promuovere un sostanziale “miglioramento dell’accesso effettivo dei lavoratori al diritto alla tutela garantita dal salario minimo” (art. 1), una netta preferenza di fondo per la soluzione contrattuale rispetto a quella legislativa.

La direttiva europea, là dove esiste un robusto ed esteso sistema di contrattazione collettiva non richiede ulteriori verifiche o adempimenti. Da ciò si può evincere che il trattamento retributivo previsto da un contratto collettivo qualificato (cioè sottoscritto da soggetti realmente rappresentativi) sia adeguato.

 

Un forum permanente

La Commissione dell’informazione auspica pertanto che il dibattito contingente sul salario minimo possa essere l’occasione per individuare nel CNEL un “forum permanente” di confronto e collaborazione stabile e continuativa tra le forze sociali e tutti i soggetti istituzionali che raccolgono dati utili per il monitoraggio sistematico della contrattazione collettiva e dei salari con l’obiettivo di disporre di informazioni complete e il più possibile condivise su temi così centrali per la definizione delle politiche e delle leggi in materia economica e sociale.

 

Collegamento tra condizioni di lavoro e produttività

La Commissione dell’informazione, nel prendere atto della centralità e delle enormi potenzialità dell’archivio nazionale dei contratti di lavoro, frutto di una felice intuizione del Parlamento e del prezioso lavoro degli uffici del CNEL in tutti questi anni, manifesta consapevolezza circa la necessità di una migliore informatizzazione, di un potenziamento della fruibilità e di una più aggiornata capacità di lettura dei contratti e pertanto propone alla Assemblea e al Presidente del CNEL di porre questo obiettivo nel programma della XI consiliatura auspicando altresì di realizzare in forma istituzionale uno stretto collegamento tra condizioni di lavoro, salari e produttività che è niente altro che l’essenza più profonda della funzione della contrattazione collettiva.

 

Tasso di copertura

I dati a disposizione indicano, al riguardo, un tasso di copertura della contrattazione collettiva che si avvicina al 100 per cento: una percentuale di gran lunga superiore all’80 per cento (parametro della direttiva). Da qui la piena conformità dell’Italia ai due principali vincoli stabiliti dalla direttiva europea e cioè l’assenza di obblighi di introdurre un piano di azione a sostegno della contrattazione collettiva ovvero una tariffa di legge.

 

Il rinnovo dei contratti

L’archivio dei contratti del CNEL segnala la criticità del fenomeno dei ritardi nel rinnovo dei contratti collettivi. Nelle tabelle che seguono si riporta il numero dei contratti collettivi nazionali di lavoro rinnovati e quelli scaduti. Da questo dato è possibile desumere il numero complessivo dei lavoratori a cui si applicano contratti scaduti.

La questione dei ritardi dei rinnovi contrattuali è decisamente più complessa di quello che i dati ufficiali lasciano comunque trasparire anche per quanto precisato a margine della tabella qui sopra riportata.

Non sempre ritardo è sinonimo di non adeguatezza del salario o di assenza di meccanismi di vacanza contrattuale, concessioni una tantum (si pensi al rinnovo del contratto del terziario dove sono state introdotte misure “ponte” che risolvono il problema almeno per tutto il 2023), ovvero meccanismi di adeguamento all’andamento della inflazione che, in effetti, sono presenti in numerosi contratti collettivi nazionali di lavoro.

Sul punto i dati ufficiali di ISTAT stimano in 7.10 euro il 50 per cento salario medio e in 6.85 euro il 60 per cento salario mediano. I dati sono del 2019, a fine anno avremo dati più aggiornati su salari medio e mediano per il 2021, mentre non sono attendibili, per ISTAT, i dati del 2020 per le perturbazioni sul mercato del lavoro dovute alla pandemia. Alcuni componenti della Commissione per l’informazione segnalano tuttavia l’opportunità di utilizzare altri criteri di misurazione del salario medio e mediano così da parametrarsi sui trattamenti retributivi dei soli lavoratori assunti con contratto a tempo indeterminato.

Rispetto a questi indicatori è pertanto possibile affermare – anche in assenza di condivisione sui criteri di calcolo dele voci retributive che concorrono a definire il salario minimo adeguato – che nel complesso, pur con non trascurabili eccezioni, il sistema di contrattazione collettiva di livello nazionale di categoria supera più o meno ampiamente dette soglie retributive orarie.

 

La c.d. contrattazione pirata

Ebbene, le categorie che aderiscono a CGIL, CISL, UIL firmano 211 contratti collettivi nazionali di lavoro, che coprono 13.364.336 lavoratori dipendenti del settore privato (sempre con eccezione di agricoltura e lavoro domestico); gli stessi rappresentano il 96,5 per cento dei dipendenti dei quali conosciamo il contratto applicato, oppure il 92 per cento del totale dei dipendenti tracciati nel flusso Uniemens. I sindacati non rappresentati al CNEL al momento attuale (X consiliatura) firmano 353 CCNL che coprono 54.220 lavoratori dipendenti, pari allo 0,4 per cento dei lavoratori di cui è noto il CCNL applicato.

 

Un piano d’azione

Per tutti questi motivi i componenti della Commissione dell’informazione sono concordi nel sottolineare, quale che sia la decisione politica in merito alla introduzione o meno nel nostro ordinamento giuridico di un salario minimo fissato per legge, l’urgenza e l’utilità di un piano di azione nazionale, nei termini fatti propri della direttiva europea in materia di salari adeguati, a sostegno di un ordinato e armonico sviluppo del sistema della contrattazione collettiva in termini di adeguamento strutturale di questa fondamentale istituzione di governo del mercato del lavoro alle trasformazioni della domanda e della offerta di lavoro e quale risposta sinergica, là dove condotta da attori qualificati e realmente rappresentativi degli interessi del mondo del lavoro, tanto alla questione salariale (per tutti i lavoratori italiani e non solo per i profili professionali collocati agli ultimi gradini della scala di classificazione economica e inquadramento giuridico del lavoro) quanto al nodo della produttività.

 

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