(foto Ansa)

favorire la concorrenza

Una proposta per i taxi: un modello Uber per i picchi

Franco Debenedetti

Tassisti “di complemento”, la gestione di chiamate e traffico attraverso una app, senza togliere lavoro

Lettere al direttore, fondi del direttore; proposte di legge, risposte di scioperi. La letteratura sul tema dei taxi è sterminata, ma il risultato pratico di tutto questo ruminare è sostanzialmente nullo. Con la sola eccezione delle città che hanno consentito a Uber di operare, le code alle stazioni di sosta e le esasperanti telefonate restano sostanzialmente le stesse. I tassisti si oppongono a legittimare Uber perché sostengono che essa lede il loro diritto di titolari di una licenza. Ne sono venuti in possesso o pagando il comune che le rilascia in numero limitato o comprandola al mercato secondario da tassisti che si ritirano, a un prezzo che è la misura del monopolio della licenza. E’ stato proposto di dare, a chi ha già ce l’ha, una licenza supplementare, gratuita e negoziabile. Questo annulla la perdita patrimoniale che subirebbero i tassisti in conseguenza della riduzione del valore della licenza all’aumentare del loro numero. Quindi accontenta i tassisti patentati: anche se già prevede tariffe flessibili e piattaforme trasparenti, allevia ma non risolve il problema dei clienti. 

 

Questo per una ragione intrinseca al servizio taxi: che è caratterizzato da una domanda imprevedibile: quanti? quando? Né è possibile rispondere alla domanda con un’offerta dimensionata sul picco delle richieste: molti tassisti sarebbero disoccupati per lunghi tempi e per compensarli le tariffe dovrebbero essere aumentate: diminuirebbe la richiesta, il sistema collasserebbe. Accrescere il numero dei taxi non risolve il problema:  il numero sarà sempre inferiore ai picchi,  a meno di accettare di pagare i tempi di inattività.

 

Ovvio che ai picchi si debba rispondere aumentando l’offerta: ma di quanto e quando? Qui sta il punto: offerta non di tassisti di attesa di essere chiamati, bensì di tempo di persone che fanno un altro lavoro, per i quali il sopperire a colmare i picchi è un’opportunità e non un diritto. E’ l’idea di Uber, che, dove è stata adottata, ha risolto il problema dei picchi (e nel contempo offerto un mini-job sostitutivo o integrativo di altri lavori).
La soluzione Uber, quando è stata respinta, non lo è stata per i voti che possono spostare quelli chi vi si oppongono, e neppure per la minaccia di uno sciopero: lo è stato perché nessuna amministrazione può resistere e nessuna polizia può disperdere i blocchi alla circolazione che la protesta di tassisti è in grado di mettere in atto.

 

Misurare i picchi di chiamata è possibile. Ci sono app che danno la densità di traffico sulle strade di grande circolazione, segnalano code e comunicano il tempo di rallentamento previsto. Sarà possibile farlo anche per luoghi noti – stazioni ferroviarie, cinema e teatri –, o per eventi prevedibili – manifestazioni politiche o sportive. Le chiamate telefoniche possono essere conteggiate esattamente: tutti i taxi sono collegati con centrali telefoniche, tutte le richieste possono essere sommate senza dover fondere tutte le centrali, cosa che equivarrebbe a costituire monopoli locali che l’antitrust proibirebbe e i tassisti non gradirebbero.  E’ dunque possibile con una app avere una visione complessiva dei picchi che si sono formati e di quelli che è verosimile che si formino. Questo dato ha un valore, può essere venduto a chi, disponendo di tempo libero, è pronto a venderlo per svolgere il servizio (a cui  ovviamente è stato preventivamente trovato adatto). Chiamiamolo tassista “di complemento”, per distinguerlo da quello “di carriera”. Naturalmente la app questo servizio non lo fa gratis, e sarà remunerata da una percentuale della tariffa che i tassisti di complemento ricavano dai loro clienti. 

 

E i tassisti di carriera? Ovviamente protesterebbero a priori contro questo servizio offerto da persone che non hanno la licenza, e che quindi sottraggono lavoro che ritengono sia loro in esclusiva. Non considerano che un servizio inefficiente danneggia non solo chi vorrebbe usarlo, ma anche chi ha la licenza di fornirlo. Le imprecazioni di chi aspetta in coda o chi sta per mezze ore appeso al telefono a sentire canzoncine interrotte dall’invito a “non perdere la priorità acquisita” danneggiano tutta la categoria. Se un servizio funziona bene, ci sarà più gente che ne vuole usufruire. I tassisti di carriera possono legittimamente pretendere di avere una parte del traffico svolto da quelli di complemento.

 

Oggi, il servizio delle centrali di chiamata (i vari 4040, 3570, 8585…) è pagato dai tassisti di carriera. Sono quindi di fatto proprietari delle cooperative che gestiscono  le centrali telefoniche. Queste cooperative  non dovrebbero avere difficoltà a trovare che finanzi l’evoluzione da centrale telefonica a società di SW che fornisce il servizio di individuazione e previsione dei picchi. Sarà sempre la cooperativa a gestire la selezione di “tassisti di complemento” e a chiamare la loro entrata in servizio quando è necessario per soddisfare i picchi di richieste. La cooperativa potrebbe sempre trasformarsi in società per azioni posseduta dai tassisti.  Essa vive trattenendo per sé una parte del loro ricavo: è diventata una mini-Uber E qui potrebbe sorgere un problema di diritto di proprietà, se il SW della app è troppo simile a quello di Uber. Non è detto che si debba andare per avvocati: Uber potrebbe guardare un po’ più in là, a quando le tante mini Uber troveranno interesse a fondersi. E i tassisti a quando potrebbero essere loro a rispondere alle chiamate che fanno i turisti stranieri che Uber ce l’hanno a casa loro. Insomma c’è spazio per un accordo a vantaggio di un paese per cui il turismo è una delle maggiore risorse. Anche a vantaggio dei tassisti, dI carriera o di complemento: avrebbero vinto la loro battaglia contro Uber diventandone azionisti. Può succedere, nel capitalismo.

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