Intervista

“Contro l'inflazione l'Italia deve ridurre il deficit”. Parla Riccardo Trezzi

Mariarosaria Marchesano

L'economista spiega come tornare ad avere un saldo primario positivo aiuterebbe l'Italia a mettersi al riparo da ulteriori spinte inflazionistiche

“I governi dovrebbero capire che l’inflazione è anche una questione di politica fiscale. Per questo va tenuta sotto controllo la spesa pubblica e, in Italia in particolare, bisognerebbe riportare l’avanzo primario almeno al 2 per cento invece di avere per il 2023 un disavanzo vicino all’1 per cento”. Riccardo Trezzi, economista con esperienze alla Fed e alla Bce e consulente di numerosi fondi d’investimento globali, parla come sapesse già che le sue sono parole al vento “perché nessuna forza politica vuole sentire queste cose”. Infatti, da più parti si continua a inveire contro la politica monetaria della Bce presieduta da Christine Lagarde, che per quanto non si sia fatta ben comprendere per un bel po’ di tempo, adesso sta facendo l’unica cosa possibile: aumentare i tassi per abbassare l’inflazione. E quest’ultimo non sarà un obiettivo semplice da centrare non solo perché l’inflazione core (al netto di energia e alimentari) è ancora al 5,5 per cento, come dimostrano gli ultimi dati di luglio, ma perché ci troviamo di fronte a uno scenario estremamente complesso rispetto a situazioni simili del passato, un puzzle in cui alcuni pezzi non si incastrano. 

Uno di questi è il mercato del lavoro. “In Italia c’è un tasso di occupazione ai massimi storici – dice Trezzi –. Questo ci dice che non andremo tanto facilmente in recessione, anche se il pil sta rallentando, e che il nostro paese si deve preparare ad affrontare ulteriori spinte inflazionistiche provenienti dai salari e dallo sblocco della contrattazione. Ma questo è inevitabile che accada. Quello che non dovremmo fare è continuare a indebitarci pagando agli investitori un rendimento del 4-5 per cento per alimentare una spesa pubblica elevata”. Si riferisce anche agli investimenti del Pnrr? “Quelli ormai li dobbiamo fare ed è un bene per il progresso del paese, anche se è vero che in parte possono spingere l’aumento dei prezzi. Ma almeno i soldi del Piano europeo di ripresa e resilienza sono a fondo perduto oppure si dovranno restituire a tassi d’interesse bassissimi. La spesa pubblica no, la paghiamo cara e alimenta l’inflazione in modo diretto”. Quindi, a settembre il governo Meloni dovrebbe mettere in campo una manovra economica restrittiva? “Sì, perché tornare ad avere un saldo primario positivo vuol dire mettere fieno in cascina per affrontare periodi di difficoltà che sono sempre in agguato”. 

Però l’Italia non è l’unico paese a lamentarsi del rialzo dei tassi. Prendiamo la Spagna. Lì hanno un’inflazione molto più bassa della media europea, intorno al 3 per cento, e la classe politica sta facendo molta fatica a spiegare a cittadini e imprese perché devono sopportare un costo del denaro elevato. “E qui veniamo al secondo tassello del puzzle che non si incastra  – prosegue Trezzi –. La Spagna è stata meno colpita di altri dallo choc energetico e quindi oggi hanno un’inflazione decisamente inferiore. Ma non è pensabile che la Bce possa mettere in atto una politica monetaria che vada bene a 19 paesi con esigenze differenti. L’eterogeneità dei cicli economici nella zona euro è uno dei limiti con cui la lotta all’inflazione deve fare i conti. Quello che va bene per un paese non va bene per un altro. Allora si trova una sintesi e quella è. In America il lavoro della Fed è facilitato dal fatto che la sua missione è più ampia: oltre che alla stabilità dei prezzi punta a quella del mercato del lavoro e quando assume le decisioni tiene conto anche dei dati sull’occupazione. E’ per questo che la Fed, dopo la pausa, ha ripreso la stretta sui tassi: l’economia si dimostra resiliente e l’occupazione è in aumento”. 

In Europa, invece, la frenata dell’economia è in atto, a cominciare da quella tedesca di cui l’Italia sta avvertendo il contraccolpo. Ha ragione chi prevede una pausa in autunno invece di nuovi aumenti dei tassi? “In effetti, credo che oggi sarebbe più corretto domandarsi per quanto tempo la Bce terrà alti i tassi piuttosto che se li aumenterà ancora. Se anche dovessero esserci nuovi ritocchi verso l’alto saranno davvero minimi”. Insomma, la Bce starà a vedere quello che succede anche perché, come viene fatto osservare da più parti, la politica monetaria richiede un lasso di tempo congruo prima di fare vedere i suoi effetti. Esiste il rischio che stringa troppo? “Esiste eccome, le mosse andranno calibrate molto attentamente per evitare che l’Europa precipiti in una recessione da cui sarebbe poi difficile riprendersi. Per ora, però, mi pare che siamo lontani da questa eventualità”.

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