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Il dimenticato Serafino Ferruzzi, importante capitalista nostrano

Stefano Cingolani

C’era il suo impero alla base dell’impresa di Gardini, oggi commemorato ma non da tutti. Ferite di famiglia

Serafino? Serafino chi? C’è un Serafino che apre la Borsa di Chicago? Sarà un immigrato che ha fatto i soldi dio sa come. Stupore, incredulità, sarcastica invidia: l’opinione pubblica e buona parte della stampa cadde dalle nuvole quando nel 1975 un piccolo quotidiano economico, Il Fiorino di Luigi D’Amato, rivelò l’inaspettato. Ma quale esule arricchito, ricco lo era senza dubbio, soldi a palate, ma tutti accumulati in Italia, con idee, ambizione e olio di gomito. Serafino Ferruzzi da Ravenna, nato nel 1908, schivo, appartato, sempre lontano dai riflettori, quando gli italiani seppero di lui, era già uno dei più importanti capitalisti nostrani. Ora che, nel trentennale della morte, televisioni, cinema, giornali ridondano di celebrazioni sul genero Raul Gardini ritratto al timone del Moro di Venezia, il suo veliero da record, pochi ricordano chi fornì al Corsaro, come la stampa popolare lo battezzò, la lettera di corsa. Fu Serafino a dargliela o fu Raul a prenderla? La risposta divide ancora storici, esegeti, testimoni mentre vecchie ferite vengono riaperte in famiglia. 

Chi fornì al Corsaro la lettera di corsa: fu Serafino a dargliela o fu Raul a prenderla? La risposta divide ancora storici ed esegeti

Un mercante, un agricoltore, un industriale, un uomo di Borsa, Ferruzzi è stato tutto questo e molto di più, è stato un protagonista del miracolo economico, uno di quegli uomini che si fecero da sé e contribuirono a portare l’Italia tra i primi paesi industrializzati al mondo. I genitori Aldo e Ida Bertoni erano piccoli agricoltori che integravano il reddito da una terra agra con la vendita di cesti di giunco intrecciati a mano. Non molto, ma abbastanza per mandare il figlio a Imola all’istituto agrario e fargli prendere un diploma. Così, poté salire uno scalino: non contadino, ma fattore dai marchesi Cavalli. Vi resta cinque anni, dal 1927 al 1932, ma non intende lavorare sotto padrone, vuole qualcosa di suo e quando la Montecatini cerca un rappresentante di fertilizzanti e prodotti chimici, coglie al volo l’occasione. Comprare e vendere diventa il suo mestiere, scopre la Borsa, a Bologna, e si iscrive all’università come studente lavoratore. Fa appena in tempo a laurearsi nel 1942 che viene richiamato come sottufficiale dell’esercito. La guerra non favorisce il commercio di concimi, così, insieme a due amici Lorenzo Benini che ci mette i soldi e Leo Manetti che ci mette i camion, apre vicino al porto un magazzino per smerciare canapa: verrà bruciato nel 1944 dai partigiani per impedire che cada nelle mani dei tedeschi. Un anno dopo Serafino s’aggiudica un bosco nell’Appennino e diventa fornitore di legname del quale c’è un gran bisogno, riapre poi una fornace del suocero e la trasforma in fabbrica di calce. Intanto riprende i contatti con la Montecatini. 

Ferruzzi è stato un protagonista del miracolo economico. I genitori erano piccoli agricoltori, lui comincia come fattore dai marchesi Cavalli

La svolta avviene nel 1948 quando, insieme ai suoi soci, fonda la Ferruzzi Benini & C. e si lancia in quella che sarà la sua attività principale: il commercio di cereali. Grano, orzo, frumento, soia, mais dalla Romania e dall’Unione sovietica, le navi lo scaricano nel primo magazzino aperto sul porto. C’è fame, quella vera, la giovane società di trading va a gonfie vele, le banche la finanziano senza tante storie, Serafino esce dai confini e va alla fonte. L’Italia non ha grano a sufficienza, lo compra soprattutto dall’Argentina e dagli Stati Uniti, ma bisogna stoccarlo una volta trasportato e chi possiede i silos migliori e più capaci può controllare il mercato. Occorre investire, allargarsi, installarsi ad Ancona come a La Spezia, a Napoli, a Bari, a Palermo. Manetti è d’accordo, Benini no e viene liquidato; siamo nel 1956 e nasce la Ferruzzi & C. che costruirà le sue torri un po’ ovunque e comprerà ben 150 vagoni ferroviari. Seguiranno le navi prese a nolo per accelerare i tempi di consegna. Siccome i mercantili erano sempre più grandi e i porti non attrezzati, a cominciare da quello di Ravenna, Serafino acquista una vecchia imbarcazione fluviale che trasportava carbone lungo il Tamigi, e la trasforma in un mezzo per lo sbarco e l’imbarco dei cereali in mare aperto, un sistema chiamato alleggio, un’innovazione che fa macinare profitti più alti della concorrenza. Affrancata dai noli marittimi, la società diventa la sponda privilegiata delle multinazionali statunitensi Cargill, Continental grain e Bunge & Born.

E’ nata una stella nel commercio dei grani, ma Serafino non s’accontenta. La ricostruzione post bellica ha aperto le porte al boom economico, l’Italia si urbanizza, c’è bisogno di case, non più solo di pane. Ferruzzi costituisce nel 1955 la Cementi Ravenna, ma questa volta arriva tardi perché il vero prodotto trainante è il calcestruzzo. Passerà quasi un decennio prima di entrare nel settore più redditizio. Nel 1964 acquisisce il 50 per cento della Calcestruzzi e due anni dopo diventa azionista di maggioranza con due terzi delle quote. Compra cave in mezza Italia, apre filiali, diventa leader in Italia e sbarca a San Paolo del Brasile. Intanto lancia un prodotto esotico, la soia, una novità per l’Italia. E’ il 1959, nasce la Soia Ravenna per lavorare il seme e ricavarne farine per animali e oli alimentari. 

Con tre società quotate in Borsa, è un protagonista in Piazza degli Affari e prepara lo sbarco nella grande finanza. Poi l’incidente fatale nel ’79

Nel 1966 arrivano gli oli con l’Olearia Tirrena, l’anno dopo il riso con le Riserie Italiane. Nel 1974, firma un accordo per uno stabilimento a Zara (soprattutto soia). Per eliminare l’incidenza del costo dei noli, Serafino si trasforma anche in armatore. Nei primi anni Cinquanta aveva acquistato dal governo statunitense alcune navi tipo Liberty, nel 1964 nasce la società di navigazione Fermar che acquista dalla Fincantieri quattro motonavi, è solo l’inizio per una vera e propria flotta mercantile, la più importante flotta privata sotto bandiera italiana nel settore del carico secco. Una volta messo piede stabilmente in Argentina, Ferruzzi punta sugli Stati Uniti dove nel 1964 apre la Mississippi river grain elevator, grazie a un’altra intuizione originale. Mentre gli impianti di stoccaggio e i punti d’imbarco delle merci da parte delle compagnie statunitensi erano concentrati a nord di New Orleans, Serafino costruisce un imbarco cento chilometri a valle, a Myrtle Grove, presso la foce del più lungo fiume del mondo: le navi possono così anticipare di 24 ore le operazioni di carico rispetto alla concorrenza. Non basta. L’industriale italiano ormai conosce bene come si fa il suo mestiere anche negli Stati Uniti dove si reca ogni estate per controllare con i propri occhi lo stato dei raccolti. Si sente pronto, così, a fondare la Artfer, società commerciale che acquista direttamente dagli agricoltori americani grosse partite di cereali e di soia destinate all’Europa. E la Ferruzzi diventa una presenza rilevante e permanente alla Borsa di Chicago, il più importante mercato mondiale per le derrate agricole e le commodities in genere. “Quando arrivava Serafino suonavano la campanella”, ricordano le cronache.  

Oggi la figlia minore Alessandra scrive una lettera amara: “Un insulto” dimenticarsi di suo padre per celebrare Gardini, “un giocatore d’azzardo”

Prendere a prestito i quattrini per espandersi, destinare gli utili nell’acquisto di terreni e soprattutto puntare sulla logistica: oggi è l’alfa e l’omega nel gioco degli scambi come ha dimostrato Jeff Bezos, allora non era così, sembrava un servizio importante, ma in qualche modo aggiuntivo, non lo snodo fondamentale dell’intera attività economica. L’Argentina diventa un Eldorado. Le praterie un tempo destinate a pascolo sono trasformate in fazendas che coltivano soia, ben presto grazie a Ferruzzi il paese si trasforma nel primo esportatore mondiale soprattutto verso l’Asia che non è più in grado di produrne abbastanza. Brasile, Uruguay, Paraguay, non c’è paese dell’America australe nel quale Serafino non metta radici. E non solo grazie all’agricoltura. A San Paolo nasce il rapporto con il gruppo Fiat attraverso la Unicem, numero due del settore dopo la Italcementi di Pesenti. E’ il 1974 e proprio nel decennio 70 avviene il salto nel risiko finanziario. Serafino ha un vantaggio assoluto: è liquido, pieno di quattrini da spendere subito, in un’epoca che vede i campioni del capitalismo italiano riempirsi di debiti. Tra questi Attilio Monti, quasi coetaneo, anche lui ravennate nato povero (il padre era un fabbro) diventato ricco e potente con il petrolio (Sarom), lo zucchero (Eridania) e i giornali (Il Resto del Carlino a Bologna e La Nazione a Firenze). Per alleggerirsi, Monti vende e Ferruzzi è pronto a comprare, prendendo il pacchetto di maggioranza dell’Agricola finanziaria che controllava sia l’Eridania sia la Silos (magazzini portuali). E’ la prima grande operazione dopo il ritorno in campo di Serafino, bloccato per un anno da una grave malattia. Con tre società quotate in Borsa, è ormai un protagonista in piazza degli Affari e prepara lo sbarco nella grande finanza, niente meno che nelle Assicurazioni Generali, il Leone di Trieste, oggetto dei desideri di ogni magnate italiano. Ma il 10 dicembre 1979 il suo areo privato precipita in fase di atterraggio su una casa di abitazione vicino all’aeroporto di Ravenna. Ferruzzi non sopravvive, con lui muoiono il pilota, il copilota e altre due persone. Sorgono i soliti sospetti, ma non ci sono a quanto sembra intrighi da svelare, nessun nuovo caso Mattei. Nell’ottobre 1987 la salma è stata trafugata dal cimitero ravennate da un gruppo di malviventi che chiese un cospicuo riscatto. La famiglia rifiutò ogni trattativa; i resti di Serafino non furono mai ritrovati. 

Il capitale del gruppo venne valutato intorno agli 800 miliardi di lire (prezzi 1979). Altre stime ritengono che fosse almeno il doppio. Fin dal 1976 tutte le proprietà erano state intestate ai quattro figli: Idina, Franca, Arturo e Alessandra, nati dal matrimonio con Elisa Fusconi. Il maschio viene privilegiato con il 31 per cento, a ciascuna delle figlie va il 23 per cento. Ma al vertice è salito intanto Raul Gardini, marito della primogenita, al quale gli eredi Ferruzzi affidano il comando. Tutti e fino a che punto? Prima di mettere il dito nelle ferite aperte, cerchiamo di ricordare com’era e forse chi era davvero Serafino. Ci aiutano i ricordi affettuosi di Sergio Cusani che ha lavorato per lui in alcune delle operazioni finanziarie più delicate. “Facevo apprendistato da Aldo Ravelli, uno dei più importanti commissionari della Borsa di Milano – racconta al Quotidiano Nazionale – Serafino veniva nello stabile dove lavoravo per incontrare un broker navale che aveva l’ufficio vicino a noi. Fu questi a presentarci Ferruzzi che nessuno di noi conosceva. Era una persona gentile. Garbata. Un bel sorriso. Quei due occhietti con uno sguardo al laser. Soprattutto, una persona curiosa di quello che avveniva nel mondo della finanza. Iniziai ad andare a trovarlo il mercoledì nel suo bugigattolo alla Borsa Merci di Milano, e a dargli la mia opinione sui mercati finanziari. Aveva una stanzetta. Una piccola scrivania in fondo. E sui lati, tre, quattro scrivanie con i suoi dirigenti più fidati. Lavoravano a contatto l’un con l’altro. I suoi dirigenti si prendevano delle grandi responsabilità, ma lui con garbo e dolcezza li incoraggiava sempre a decidere, rassicurandoli. Lo vidi due giorni prima della morte, l’8 dicembre del 1979 a Roma. E per la prima volta con lui c’era il genero, Raul Gardini”. Sì, proprio l’uomo che in pochi anni trasformerà la Ferruzzi in un gruppo prevalentemente industriale, grazie a una politica di continue acquisizioni, fino a scalare la Montedison. Galeotta fu quella scelta perché portò alla rovina il castello che Serafino aveva edificato con tanta pazienza e sagacia. Siamo a metà degli anni Ottanta, ricorda ancora Cusani, Mediobanca preme affinché il gruppo Ferruzzi entri nel cosiddetto salotto buono. Secondo la filosofia di Cuccia, si tratta di sedersi al tavolo dei grandi con una piccola quota, del 2 o 3 per cento, ma Gardini compra a man bassa attraverso la banca francese Suez, arriva al 14 per cento e diventa l’azionista di riferimento. Per pagare l’operazione chiede duemila miliardi di lire alla Banca nazionale del lavoro guidata da Nerio Nesi, offrendo in pegno le azioni Montedison garantite dal patrimonio di Serafino Ferruzzi il quale aveva lasciato oltre 1.200 miliardi di lire liquide in Lussemburgo. Nasce così il secondo conglomerato industriale italiano con ricavi per circa 20 mila miliardi di lire, 52 mila dipendenti e più di 200 stabilimenti in tutto il mondo, maggior produttore europeo di zucchero e in posizioni di vertice per oli di semi, farine proteiche e amido. In parallelo, cresce anche l’indebitamento, un fardello che diventa insopportabile.

Foschi presagi per l’operazione Enimont presentata allora come un colpo di genio. Il piano è fondere la Montedison con le attività chimiche dell’Eni, attraverso una società paritetica (40 per cento ciascuno e 20 per cento al mercato). La chimica di base veniva già considerata un settore dal quale uscire, fonte di perdite e di rogne. Lo stesso Gardini aveva pensato di venderlo per concentrarsi nei biocarburanti e nella trasformazione chimica delle eccedenze agricole. L’azienda pubblica a sua volta voleva rafforzare il proprio core business: ricerca, estrazione, vendita di petrolio e gas. Dunque è un matrimonio di convenienza che si trasforma presto in un braccio di ferro. Nel 1990 la Montedison vende tutto all’Eni per 2.805 miliardi di lire, un prezzo ritenuto esorbitante che nasconde una mega tangente da 150 miliardi. Scoppia lo scandalo che travolge tutti i protagonisti dell’affare. Colpa della politica? Può darsi. Gardini s’è ucciso tre giorni dopo il suicidio di Gabriele Cagliari, il capo dell’Eni, perché non poteva sopportare la sconfitta del suo sogno di grandezza e la macchia sul proprio onore? Forse. Ma non è di questo che ci occupiamo qui, bensì dell’oblio calato sul fondatore di una fortuna dilapidata come poche altre. Oggi la figlia minore Alessandra, sposata anche lei a un manager del gruppo, Carlo Sama, scrive una lettera amara, definisce “un insulto” dimenticarsi di suo padre Serafino per celebrare al suo posto Gardini, “un giocatore d’azzardo” che ha tentato di far modificare l’assetto ereditario a suo favore. Alessandra si dice tradita anche dai suoi fratelli i quali “conferirono a Raul tutti i poteri, lasciandomi con il cerino in mano”. Ci vorrebbe un altro articolo per raccontare la sorte della famiglia e del gruppo ceduto nel 1994 alle banche creditrici. Fu smembrato o salvato da Mediobanca? Certo, è stato il più grande salvataggio finanziario in Italia dopo quelli degli anni 30 che portarono alla nascita dell’Iri. Una sorte che Serafino non avrebbe immaginato nemmeno nel peggiore dei suoi incubi.

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