(foto Ansa)

si paga meno

Tutti i conti che non tornano al governo spiegati dall'Istat

Stefano Cingolani

Dalla nascita del governo Meloni calano gli incassi dall’accertamento fiscale. Guai e buone notizie dall’Istituto nazionale di statistica

Il deficit pubblico peggiora: nei primi tre mesi è arrivato al 12,1 per cento del prodotto lordo con un aumento rispetto all’11,3 per cento di un anno prima quando si stava uscendo dalla pandemia. L’Istituto centrale di statistica ha calcolato che è colpa di un calo delle entrate (-0,8 per cento rispetto al prodotto lordo) che si rispecchia in una riduzione della pressione fiscale. Il governo si è dato come obiettivo di scendere al 4,5 per cento, davvero un gran balzo. Comincia ad accendersi un fanalino rosso?

Prendiamo le cifre nude e crude calcolate dalla Ragioneria dello stato che si riferiscono ai primi cinque mesi, dunque due in più rispetto all’Istat: il fabbisogno di cassa del settore statale è stato pari a 81,7 miliardi di euro, ben 46 miliardi oltre la cifra raggiunta nello stesso periodo del 2022. Non solo: vuol dire che abbiamo già consumato quasi tutto il grasso disponibile, perché l’indebitamento netto della Pubblica amministrazione (il parametro che conta per le regole europee, fissato non da Bruxelles, ma dal governo di Roma) è di 90,9 miliardi di euro. Dunque dobbiamo aspettarci un giro di vite ben prima della legge di Bilancio da presentare a ottobre? Un’altra delle famigerate manovre estive per riprendere il controllo? Piano, prima di arrivare a facili quanto fosche conclusioni. 
 
La sarabanda di dati diffusi ieri dall’Istat alterna buone notizie e segnali preoccupanti. Cominciamo dalle prime che hanno dato i titoli alle tv e alimentato l’ottimismo di Giorgia Meloni. E’ salito del 3,2 per cento il reddito delle famiglie consumatrici nel primo trimestre dell’anno, quando si registra anche un aumento dello 0,6 per cento della spesa per consumi finali. Vista una sostanziale stabilità dei prezzi nei tre mesi, il potere d’acquisto delle famiglie aumenta del 3,1 per cento. Più consumi, dunque, ma anche una maggiore propensione al risparmio che torna a salire di 2,3 punti. Non ci sono stati, invece, superprofitti, al contrario di quel che si dice a sinistra, ma anche a destra: la quota di utili delle società non finanziarie, pari al 43,7 per cento, è diminuita di 0,9 punti percentuali nei primi tre mesi dell’anno rispetto al trimestre precedente. S’è ridotto sia pur di poco (0,3 per cento) anche il tasso di investimento e questo ci introduce alla prima incognita dei prossimi mesi: il rimbalzo del 2022 ha dato quel che poteva dare, adesso bisogna vedere quanto forte è l’effetto trascinamento, se è in grado di contrastare le spinte negative che vengono dall’aumento dei tassi d’interesse, dal calo delle esportazioni, dalla recessione tedesca, dalla fiacca ripresa cinese.

 

Sulla sbandata del disavanzo pubblico hanno agito senza dubbio le imposte. La Ragioneria dello stato ha calcolato il gettito nei primi quattro mesi: mentre l’Irpef ha seguìto l’inflazione, l’Iva è cresciuta a ritmo inferiore. Soprattutto scendono gli incassi da attività di accertamento e controllo: 622 milioni di euro in meno, pari al 15 per cento. E questo innescherà di nuovo la polemica sulla mancata lotta all’evasione da parte del governo Meloni. Ci sono anche molte componenti straordinarie dal lato della spesa che dovrebbero rientrare nella seconda parte dell’anno. Tuttavia i “fattori di rischio” come li chiama l’Osservatorio sui conti pubblici, sono davvero molti. Per esempio i crediti d’imposta legati al Superbonus edilizio, la riduzione degli utili della Banca d’Italia per il quantitative tightening (la vendita di titoli pubblici) pari a 3,9 miliardi di euro, e lo stesso effetto del costo del denaro soprattutto se i tassi supereranno con i prossimi aumenti il tasso d’inflazione. La Ragioneria ricorda il mancato incasso del Pnrr (10 miliardi) o l’aumento delle pensioni (12 miliardi dei quasi solo 5 straordinari), l’Assegno unico universale (l’effetto sul quadrimestre è stato di 5,9 miliardi rispetto ai 2,4 miliardi di dodici mesi prima), gli arretrati agli statali, il bonus bollette da 18 miliardi (sarà riproposto o finirà lì?). Tra le incognite vanno messe la terza e quarta rata del Pnrr (19 e 16 miliardi) fondamentali non solo per gli investimenti di lungo periodo, ma per far quadrare i conti quest’anno. 

 

Finora c’è stato un aumento strutturale del deficit di 2,7 miliardi al mese quasi 20 miliardi a fine anno. Prendendo la spesa corrente al netto degli interessi, il solo recupero dei costi gonfiati dall’inflazione del 2022 (8,1 per cento) che non è avvenuto se non con le erogazioni una tantum a fronte del caro energia, comporterebbe maggiori stanziamenti per quasi 40 miliardi di euro oltre a quanto già previsto nella legge di Bilancio, altrimenti si tagliano di nuovo servizi e stipendi pubblici. Altro che stretta, s’affaccia un’austerità alla Mario Monti? Se tutti i fattori straordinari finiranno davvero, il governo riuscirà ad avvicinarsi all’obiettivo che si è dato, se no dovrà emettere nuovi titoli e aumentare il debito. Giancarlo Giorgetti ha già messo al lavoro Davide Iacovoni al quale spetta gestire quella montagna da 2.800 miliardi di euro. Secondo indiscrezioni è già in rampa di lancio una nuova emissione da 20 miliardi che, visti i precedenti, dovrebbe andare a buon fine.

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