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Dopo dodici anni si chiude l'èra di Ignazio Visco alla Banca d'Italia

Stefano Cingolani

“Il sistema bancario è stabile, ma molti ne dubitavano”, dice il governatore di Bankitalia. In due mandati ha attraversato lo choc del 2011, l’ideazione del Qe, le crisi bancarie, l’inflazione che ritorna. Così il successore di Mario Draghi passa il testimone

Chi si aspettava nell’ultima delle sue dodici considerazioni finali all’assemblea della Banca d’Italia una requisitoria contro le nuove “arciconfraternite del potere” sarà rimasto deluso, ma Ignazio Visco non è Guido Carli che pure lo assunse appena laureato nel 1972, non solo perché è cresciuto in Via Nazionale, non solo perché non ha fatto parte di quelle ariconfraternite, ma perché non è stato tentato dalla politica né come tecnico (Dini, Ciampi, Draghi) né come uomo di parte. Il governatore uscente della Banca d’Italia non ha mai nascosto la sua inclinazione verso il progressismo riformista e la sua “militanza” post keynesiana.

Tuttavia Visco ha sempre preferito servire per mezzo secolo “l’istituzione speciale che mi appresto a lasciare”, ha detto svelando un filo di commozione dietro l’understatement da “napoletano anomalo” (così si definisce). “Abbiamo sempre presente la necessità di fondare valutazioni e decisioni su informazioni e analisi il più possibile ampie e accurate – ha aggiunto – con l’intento esclusivo, in comune, non in dissidio con lo stato, ‘di migliorare le condizioni dell’attività nazionale e di migliorarne le sorti’”, citazione quest’ultima da Bonaldo Stringher che risale al 1900. Due mandati da governatore in “anni difficili”, titolo di un suo libro per Il Mulino. Ha preso il testimone da Mario Draghi nel novembre 2011 mentre cadeva il governo Berlusconi e i bancomat erano a corto di denaro liquido. Ha contribuito a evitare il default accompagnando la cura choc del governo Monti e ha fornito analisi e strumenti alla svolta monetaria di Draghi, a cominciare dal quantitative easing che era una bestemmia per la Bundesbank. Un lavoro del quale gli è stato dato poco credito, ma Visco, direbbe un esperto di comunicazione politica, non si è mai saputo vendere. All’inizio non lo ha voluto per poi scoprire che nemmeno il “santuario economico” di palazzo Koch può sfuggire al circo politico-mediatico. Lo ha capito quando sono scoppiate le crisi bancarie che lo hanno trasformato in bersaglio dei populisti di ogni colore, dai leghisti ai grillini (senza dimenticare il Pd), i quali hanno montato una commissione parlamentare d’inchiesta con l’intento di trasformarlo in capro espiatorio. Ieri il governatore ha difeso con orgoglio il suo operato: “La stabilità del sistema bancario italiano è il risultato di un intenso processo, realizzato negli ultimi dieci anni… un risultato che molti osservatori, anche autorevoli, dubitavano potesse essere raggiunto”. Appena arrivato al timone, Visco è intervenuto per una svolta nella più grave di tutte le crisi, quella del  Monte dei Paschi. Poi sono saltate le piccole banche del Centro Italia, le due venete, la Popolare di Bari, Carige. “Nei casi di mala gestio è stato inevitabile il ricorso a procedure di risoluzione o di liquidazione (che hanno interessato il 3 per cento degli attivi del sistema) – ha detto –. In nessun caso è stata messa a repentaglio la stabilità finanziaria. I depositanti sono stati tutelati. Laddove necessario si è fatto ricorso a risorse pubbliche, il cui ammontare è stata decisamente basso nel confronto internazionale”. Una tabella in appendice è molto chiara: la Germania ha superato tutti con una impennata del 12 per cento del pil nel 2010, seguita dalla Spagna. In media l’area euro ha impiegato nel decennio dal 6 a 4 per cento del pil, l’Italia meno del 2 per cento. 

Il primo mandato di Visco scade nel 2017 nel pieno della polemica sulle crisi bancarie che ha portato sulla graticola Matteo Renzi (la Popolare dell’Etruria è la pietra dello scandalo che coinvolge il padre di Maria Elena Boschi) ed è proprio lui a mettersi di traverso. Il 17 ottobre la Camera dei deputati approva una mozione del Pd guidato da Renzi che chiede al governo presieduto da Paolo Gentiloni (Pd) di non confermare Visco. Dieci giorni dopo Gentiloni e Mattarella firmano il rinnovo. Draghi da Francoforte desiderava continuità e tira un sospiro di sollievo. Molti osservatori hanno sottolineato che quando si è chiuso “l’ombrello Draghi” le cose si sono fatte più difficili per la Banca d’Italia che ha subito un aumento dei tassi d’interesse molto netto (circa 4 punti percentuali in pochi mesi) dopo aver sottovalutato l’inflazione. Visco ha ammesso anche ieri che ci sono state “tensioni e incertezze”, è importante “tenere la barra dritta, ma con la gradualità necessaria” per non fare troppo né troppo poco. Come chiedere la quadratura del cerchio, ma proprio questa è la sfida dei prossimi mesi, mentre si cominciano a sentire gli effetti di una stretta creditizia sempre più evidente. Visco resta in plancia per altri cinque mesi, poi toccherà al successore che tutti i bookmaker indicano in Fabio Panetta oggi nel comitato esecutivo della Bce.

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