(foto Ansa)

lo studio

L'indagine di Cna sul sostegno che serve alle imprese nel mercato estero

Claudio Giovine

Ecco come irrobustire la presenza all’estero del sistema paese puntando sui “piccoli” e sulla loro capacità di adattamento a scenari in rapido mutamento

Quanto significano le esportazioni per l’economia italiana. Quanto del fenomeno è rappresentato da artigiani, micro e piccole imprese. Come si possa irrobustire la presenza all’estero del sistema paese puntando proprio sui “piccoli” e sulla loro capacità di adattamento a scenari in rapido mutamento. Sono quesiti ai quali risponde l’Osservatorio Export 2023 curato dall’Area studi e ricerche della Cna e dedicato a “Le piccole imprese e la sfida dell’export: le opzioni per crescere ancora”.

Il lavoro è composto da due parti. La prima esamina il ruolo delle esportazioni nell’economia italiana focalizzandosi sul peso delle piccole imprese nell’export nazionale. La seconda analizza i principali risultati di una indagine sul campo condotta tra micro e piccole imprese associate alla Cna. Attualmente in Italia sono circa 112 mila le imprese che realizzano almeno una parte del loro fatturato all’estero. Stiamo parlando di imprese in gran parte di piccola dimensione: il 55,8 per cento conta meno di nove addetti e considerando la totalità di quelle che si collocano al di sotto dei 50 addetti si copre l’89,2 per cento della totalità dei soggetti impegnati nell’export. Questo molecolare e variegato aggregato di micro e piccole imprese occupa più di un milione di addetti e realizza un valore delle esportazioni corrispondenti al 20 per cento circa dell’export italiano e al 14,9 per cento dell’export manifatturiero. Allargando lo sguardo alla totalità delle Pmi il contributo all’export manifatturiero si avvicina alla metà del totale nazionale. La piccola dimensione, per quanto si coniughi con notevoli capacità adattative, incorpora però delle fragilità che si esasperano là dove i contesti operativi si caratterizzano per la presenza di tanti elementi di incertezza. E’ assolutamente necessario che le piccole imprese vengano rassicurate e sostenute, perché il paese non può permettersi di sprecare questa moltitudine di “ambasciatori dell’Italia nel mondo”.

Da un lato quindi bisogna garantire continuità di business e opportunità di crescita per chi è oggi “ben piantato” sui mercati esteri, ma ha evidenti necessità di diversificare, innovare, sperimentare soluzioni diverse da quelle consuete. Dall’altro vanno offerti indirizzo e sostegno a tutti i “potenziali esportatori”. L’indagine condotta presso gli associati Cna del settore manifatturiero evidenzia alcuni elementi di rilevante significato per quanto concerne il rapporto con l’export delle piccole imprese italiane. Il 43,1 per cento delle imprese che hanno realizzato vendite all’estero considera le esportazioni un fattore decisivo all’interno della loro equazione di business, un elemento costitutivo della propria attività, di fatto “irrinunciabile”. Il 28,9 per cento lo ritiene un fattore “complementare”: il fatturato che proviene dalla collocazione delle loro produzioni sul mercato interno viene stabilmente “integrato” dal fatturato estero. Infine, il 28 per cento delle imprese intervistate definisce “episodico” il proprio rapporto con l’estero.

 

Uno degli obiettivi dell’indagine ha coinciso con l’individuazione degli elementi di maggior criticità con cui le imprese esportatrici si confrontano. A questo riguardo si possono distinguere due piani: a livello generale emerge forte la difficoltà di individuare lavoratori con le competenze richieste; sul piano specifico dell’export i temi ritenuti più complessi sono relativi alle procedure doganali, all’individuazione di buoni partner commerciali e all’accesso alle misure di sostegno pubblico per l’internazionalizzazione (che la maggior parte delle imprese considera ancora oggi troppo complicato). Proprio in relazione a queste ultime, le richieste delle imprese sono molto nette: prima di tutto un aiuto nella selezione e nella partecipazione agli eventi fieristici. In seconda battuta misure mirate alla penetrazione in nuovi mercati. Al terzo posto un accesso agevolato al credito per l’export. 

 

Uno degli elementi che emerge con forza dall’indagine è un certo “isolamento” delle imprese e una sorta di tendenza a “far da sé”. Poco più del 10 per cento, ad esempio, fa parte di consorzi o reti di imprese per l’internazionalizzazione e quasi la metà del campione dichiara di non avere mai preso in considerazione questa possibilità. Un aiuto viene dalle associazioni di categoria, che rappresentano il principale consulente a cui le imprese si riferiscono in caso di necessità. L’indagine consente di scandagliare l’universo dei “non esportatori”. Tante e diverse sono le ragioni per cui queste imprese non collocano oggi le proprie produzioni sui mercati esteri; giova però sottolineare che circa un terzo del totale pensa di poterlo fare in futuro, soprattutto qualora potesse disporre di adeguato sostegno pubblico. Si tratta di un dato che apre le porte a una suggestione di non poco conto: tra le imprese con meno di 50 addetti esiste un bacino di “esportatori potenziali” stimabile in circa 90 mila aziende.

Claudio Giovine

direttore della divisione economica e sociale Cna

Di più su questi argomenti: