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L'analisi

Risolvere il dramma delle pmi non pagate dai clienti

Claudio Giovine

Il 55,1 per cento delle piccole imprese lamenta ritardi nei pagamenti (non solo con lo stato). Soluzioni per uscirne 

Farsi pagare dai propri clienti nei tempi dovuti? Una sorta di chimera per una piccola impresa su due. Quasi un sogno per i “piccoli” del Mezzogiorno che ricevono i dovuti pagamenti in tempo solo in un caso su cinque. È quanto emerge da una indagine condotta dall’Area Studi e Ricerche CNA su “Le piccole imprese di fronte al problema dei ritardi di pagamento”. Indagine che evidenzia una prassi diffusa e consolidata in grado di creare gravi difficoltà in termini di riduzione della liquidità, sofferenze e rischi per le aziende che non riescono a gestire serenamente i loro flussi di cassa, consistente diminuzione del valore reale dei crediti riscossi in ritardo a causa del ritorno dell’inflazione. Una situazione che in tempi di tassi crescenti (e di costo del denaro impennatosi), come gli attuali, può condurre perfino alla chiusura aziende alle prese con difficoltà finanziarie, dovute principalmente o esclusivamente ai mancati pagamenti. Eppure, i termini dei pagamenti commerciali sono regolati per legge in Italia fin dal 2012 e sono stabiliti in trenta giorni, oltre i quali scatterebbero gli interessi di mora, salvo patti contrari.

 

Lo studio targato CNA attesta che il fenomeno dei ritardi dei pagamenti è endemico al sistema economico italiano. A livello nazionale il 55,1% del totale delle imprese coinvolte nella indagine dichiara di essere pagato in ritardo spesso, molto spesso o addirittura nella maggior parte dei casi da altre imprese. Questa percentuale scende al 44,6% nei rapporti con la Pubblica amministrazione. Al Sud la quota dei ritardi sale in maniera consistente tanto da affliggere addirittura l’80% delle piccole imprese. I ritardi negli incassi degli importi attesi sono tutt’altro che indolori per le imprese. Il 94,3% delle imprese che non vengono pagate nei tempi dovuti dichiara di subire conseguenze dai ritardi.  Il 21,9% ricorre al credito bancario per sopperire. Il 16,9% riduce la propria crescita. Il 16,1% rallenta gli investimenti. Il 13,4% soffre una contrazione generalizzata della sua produttività. Il 10,7% distrae risorse dall’attività produttiva da convogliare verso le operazioni di recupero dei crediti. E per l’8,4% delle imprese i ritardi costituiscono una minaccia alla sopravvivenza dell’impresa. A causa dei ritardi a monte, le imprese creditrici si trovano a pagare a loro volta in ritardo i propri fornitori. Spesso o sempre questo slittamento riguarda, a livello nazionale, il 22,2% delle imprese non pagate nei termini. Con un 32,5% di raramente e un 45,3% di mai. A livello macro-regionale, però, questi dati mostrano situazioni estremamente differenti. La catena del ritardo si amplifica al Sud, in Sicilia e Sardegna (con un 44,6% delle imprese che scarica sempre o spesso le inadempienze subite sui propri pagamenti) e nelle regioni del Centro, dove il circuito perverso riguarda il 31% delle imprese, ma con un picco territoriale del “sempre” che schizza all’8,1% delle imprese. Come reagiscono le imprese di fronte a un fenomeno di tale ampiezza e dalle conseguenze più che dannose? Perlopiù attendendo. Il 79,9% del campione ritiene di doversi adattare per evitare che i propri clienti si rivogano a fornitori ritenuti più flessibili. Solo nel 19,1% dei casi, rispetto a un ritardo conclamato (e, si può presumere, al rischio concreto di perdere del tutto la corresponsione) l’impresa creditrice decide di attivare un provvedimento giudiziario. Viceversa, il 62,6% del campione non adotta provvedimenti a causa dei costi e dei tempi delle procedure di ricorso. Il 12,5% fa lo stesso, ma perché teme di perdere il cliente. E il 4,8% ricorre a un mediatore. L’ampiezza del fenomeno e le sue conseguenze, per come emergono dalla indagine, pongono seriamente l’esigenza di un’azione pubblica per scoraggiarlo. Quattro i suggerimenti della CNA al decisore politico. Primo: aumentare la consapevolezza delle imprese sull’importanza di gestire le loro transazioni commerciali attraverso una contrattualistica precisa e dettagliata, in modo particolare per quanto concerne la materia dei pagamenti. Secondo: mettere seriamente sotto osservazione la tempistica di pagamento delle amministrazioni pubbliche, anch’essa affetta dalla sindrome dei ritardi, seppure in misura inferiore rispetto a quanto avviene nelle transazioni commerciali tra imprese. Terzo: puntare a un rafforzamento della tutela giudiziaria per i creditori, sia in termini di facilità di accesso che di certezza e rapidità degli esiti: l’indagine dimostra infatti che le aziende rinunciano a tale tutela ritenendola complessivamente poco praticabile e scarsamente utile se non in casi estremi. Quarto: rendere disponibili per le imprese che forniscono beni e servizi ad altre imprese o ai clienti finali degli strumenti – anche di natura pubblica – che consentano di verificare facilmente ex-ante la solvibilità dei potenziali clienti in modo tale da selezionare i soggetti a cui fornire i beni o le prestazioni richieste.

Claudio Giovine, direttore Divisione economica e sociale della Cna

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